Suicidi e aggressioni: la divisa sotto attacco di stress e irregolari

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Foto di gillyan9 CC 2.0 SA BY NC

“Sbirro suicidato mezzo perdonato”. Fanno tragico sarcasmo i vandali che hanno imbrattato i muri della Statale di Milano, stanotte, con questa frase ingiuriosa verso le Forze dell’Ordine. Un riferimento agli ultimi fatti di cronaca, che vedono ancora una volta una divisa togliersi la vita.

Secondo quanto è emerso dall’Osservatorio permanente interforze sui suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia, voluto nel 2019 dal prefetto Franco Gabrielli, negli ultimi cinque anni i suicidi tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti penitenziari sono stati 207. 275 se si aggiungono la polizia locale e gli altri appartenenti alle Forze Armate. Si parla in media di un suicidio ogni sei giorni tra le forze dell’ordine. Un tema su cui CulturaIdentità era intervenuta già anni fa, con gli articoli di Alessandra D’Alessio, psicologa e psicoterapeuta, responsabile dell’area di psicologia militare del CIS.Mil (Centro Interforze Studi Militari).

Tra i carabinieri si registra la situazione più grave: dal gennaio 2019 a dicembre 2023 in 78 si sono tolti la vita. Nove solo lo scorso anno. Dentro alle altre Forze Armate invece i casi sono più sporadici: in cinque anni 25 suicidi nell’Esercito, 12 nella Marina e 6 nell’Aeronautica.

Nella Polizia di Stato, negli ultimi cinque anni si contano 75 gesti estremi. Sedici solo nel 2023. Tra gli agenti della Polizia Penitenziaria i suicidi sono stati 26 (un episodio nel 2023); mentre nelle Fiamme Gialle – 60mila tra uomini e donne dipendenti del ministero dell’Economia – dal 2019 si sono uccisi in 28. Due lo scorso anno. Per quanto concerne la polizia locale si parla di 25 suicidi in cinque anni. Tre quelli registrati nel 2023. Da precisare che sono questi gli unici dati, non ufficiali e quindi per difetto, raccolti dalla ong Cerchio blu. Questo perché i vigili urbani non fanno parte dell’Osservatorio del ministero dell’Interno. Una lunga lista alla quale si è aggiunto l’ennesimo caso proprio qualche giorno fa, a Putignano, provincia di Bari: Giovanni Devillanova, colonnello dell’Esercito Italiano. Il militare si è sparato con la pistola d’ordinanza, diventando il venticinquesimo caso di suicidi in divisa nel 2024.

Secondo quanto riportato dall’agenzia Dire, il cinquantatreenne avrebbe manifestato difficoltà derivanti dall’impiego e dallo stress del pendolarismo Roma-Bari. Un disagio accentuato anche dal mancato riconoscimento della 104. Da quanto è emerso dall’ Osservatorio, curato da Cleto Iafrate, questo è il terzo caso solo nel mese di maggio, dopo i suicidi di un agente di polizia locale palermitana e di un brigadiere della Guardia di Finanza.

“Così mi tolgono la vita“. Parole che gelano il sangue, soprattutto se a dirle è una figlia ai suoi genitori. Parole che non sono pietre ma veri e propri macigni se seguite dal suicidio di chi le ha pronunciate. Infatti, lo scorso 22 aprile, la venticinquenne, che era allieva al secondo anno di corso alla Scuola marescialli e brigadieri dei carabinieri di Firenze, si è tolta la vita sparandosi con la pistola di ordinanza dentro la scuola.

La ragazza non avrebbe retto un clima di vessazioni tali da provocarle uno stato di costante stress e disagio, come denunciato dai familiari in una lettera inviata al sindacato Unarma qualche giorno fa. Una lettera in cui i genitori della vittima ricostruiscono dinamiche che provano lo stress psicofisico della figlia come la perdita dei capelli. Da quanto scritto, la giovane donna voleva abbandonare la scuola e “diceva sempre più spesso alla mamma ‘questa scuola mi sta rovinando la vita‘”.

Il sindacato sulla vicenda presenterà un esposto alla procura del capoluogo toscano ma i genitori, da quanto si legge nella lettera, tengono a precisare che il loro obiettivo non è quello di “individuare i responsabili ai quali imputare la tragica fine” della figlia “ma per affrontare il problema dei suicidi” di chi veste la divisa, sottolineando che la loro “fiducia nelle istituzioni rimane integra come sempre”.

A tal proposito da ricordare che le problematiche riguardanti la Scuola allievi marescialli dei carabinieri di Firenze erano già emerse nei mesi scorsi. Basti pensare ai due esposti alla magistratura militare e civile presentati dal sindacato dei carabinieri Unarma (l’ultimo datato 12 febbraio e indirizzato al ministero della Difesa oltre che ai vertici dell’Arma), dove erano stati denunciati presunti “abusi e violazioni” che sarebbero avvenuti nella Scuola, al punto da portare circa sessanta allievi ad abbandonare il percorso formativo professionale.

Esposti che però non sembrano aver cambiato la situazione, vista la tragedia dello scorso aprile e quanto scritto dai genitori della giovane vittima, i quali, infatti, hanno denunciato lo stress psicofisico della figlia “che non ne poteva più di sottostare a ‘regole’ poco funzionali che si insinuavano in ogni ambito della propria vita“, “dalla porta delle camere che doveva stare sempre aperta, al controllo del modo di vestire in libera uscita, a ordini assurdi”, “un ambiente estremamente rigido e totalitario“. Una mattanza in divisa di cui, nonostante i dati sempre più inquietanti, si continua a parlare troppo poco sia nell’opinione pubblica che in politica

Disagio e pistola d’ordinanza, due aspetti cruciali per comprendere il perché dei continui casi di suicidi che colpiscono il mondo in divisa. Secondo gli esperti le cause principali di questi gesti estremi sono: lo stress psicofisico elevato, l’esposizione continua a eventi critici e traumatici e un tasso di depressione cinque volte superiore rispetto alla popolazione civile. Aspetti che, uniti a un forte senso del dovere e a un sistema rigidamente gerarchico accompagnato da procedimenti e sanzioni disciplinari, possono dar luogo a un tragico epilogo per chi li subisce. Ma a questi fattori se ne aggiunge un altro che, infatti, aumenta il rischio suicidario in modo esponenziale: avere a portata di mano l’arma, anche a casa. Non per nulla, l’82% dei suicidi avviene con la pistola d’ordinanza.

Una situazione disastrata che degenera di giorno in giorno, al punto da portare il Sappe a evidenziare più volte la necessità di interventi concreti per far fronte a un simile scenario. Tra le soluzioni vi è quella di aumentare la consapevolezza su queste problematiche, migliorare il supporto psicologico disponibile per le forze dell’ordine, promuovere una cultura che non solo valorizzi il loro lavoro, ma che si prenda anche cura della loro salute mentale. Una tutela delle forze dell’ordine che, soprattutto ultimamente, ha fatto molto discutere.

Si sta parlando di quanto successo la notte del 10 maggio presso la Stazione Centrale di Milano a un poliziotto della Polfer, intervenuto insieme ai colleghi per fermare un trentaseienne egiziano in escandescenza, intento a lanciare pietre con una sorta di fionda rudimentale sui passanti. L’egiziano, probabilmente sotto l’effetto di droga, si è poi scagliato contro gli agenti che «per tutelare la propria e l’altrui incolumità» hanno utilizzato il taser, la pistola elettrica, nel tentativo di bloccarlo. Il trentaseienne però ha continuato a aggredire e, a quel punto, uno degli agenti ha sparato un colpo con la pistola d’ordinanza che ha ferito l’uomo alla spalla sinistra. Le sue condizioni non sono gravi, il proiettile, infatti, non ha leso organi vitali.

L’immigrato, che aveva avanzato una richiesta di asilo, sebbene l’Egitto non sia in guerra, era appena uscito dagli uffici della polizia ferroviaria dove era stato denunciato per rapina e resistenza a pubblico ufficiale. Si tratta quindi di un soggetto indubbiamente pericoloso, in preda a un delirio di violenza. L’ epilogo della vicenda a dir poco lunare, lo è stato altrettanto. Infatti, l’agente che ha sparato è indagato per lesioni dolose aggravate, anche se la procura ha già ipotizzato le scriminanti della legittima difesa e dell’uso legittimo delle armi, due cause giustificative che saranno valutate dagli inquirenti.

Una situazione che ha indignato Vittorio Feltri che, infatti, ha annunciato di impegnarsi in prima persona come si evince nella consueta rubrica sulle pagine de “Il Giornale”, dove ha infatti riportato che si farà carico personalmente delle spese legali dell’agente. Una vicenda che, amara ironia della sorte, si è consumata 24 ore dopo un episodio fotocopia.

Quest’ultimo, infatti, è successo nella notte tra mercoledì 8 maggio e giovedì 9 maggio, quando un agente di polizia di 35 anni è stato accoltellato alla stazione di Lambrate, a Milano, da Hasan Hamis, un marocchino irregolare con numerosi precedenti e in Italia da irregolare da più di 20 anni, intento a lanciare sassi a treni e passanti. Una situazione che ha portato l’intervento del viceispettore Christian di Martino e di un collega. I due lo hanno prima colpito con il taser senza però sortire alcun effetto a causa del giubbotto che l’aggressore indossava, dando luogo così a una colluttazione tra il trentacinquenne e l’uomo culminata con l’accoltellamento dell’agente.

Una tragedia sfiorata in quanto fortunatamente con un lieto fine: Christian Di Martino, infatti, dopo cinque ore di intervento e centro trasfusioni è uscito dalla terapia intensiva. “Tornerò presto come prima”, ha detto. Di Martino ha ricevuto diverse visite come quella del presidente del Senato Ignazio La Russa, il Ministro degli Interni Piantedosi e l’assessore regionale Guido Bertolaso. Tutti loro nel recarsi nella stanza di Di Martino hanno notato anche una maglia dell’Inter. Maglia autografata da tutti i calciatori nerazzurri, che gli è stata portata dal cognato, il difensore Federico Dimarco – sposato con la sorella della fidanzata del viceispettore

A far visita al trentacinquenne si è recato anche il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Secondo quanto emerso, si sarebbe trattato di colloquio breve e privato. Nel mentre dal carcere di San Vittore, l’aggressore si sarebbe detto dispiaciuto per quello che è successo e ha cercato anche di spiegare i suoi gesti come una reazione dettata da una situazione di continuo disagio e tensione in cui si versa, vivendo sempre in strada.

Poliziotti in fin di vita, altri indagati perché hanno salvato la loro e non solo. Uno scenario che conferma amaramente quanto sostenuto dal segretario del SIAP (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia) di Milano commentando quanto successo all’ agente Di Martino: “C’è molto da fare, c’è necessità di investire in mezzi e risorse umane per un miglior controllo del territorio ma c’è anche molto da rivedere in tema di accoglienza. Così come è urgente assicurare ai poliziotti quelle tutele operative e giuridiche, che da anni chiediamo, per garantire in questo scenario ormai seriamente compromesso condizioni di operatività che gli consentano di agire correttamente salvaguardando la loro vita. Non è possibile continuare a tollerare che i lavoratori in uniforme vengano aggrediti senza che vi siano norme severe per i colpevoli”.

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