L’appello di Muti a Leone XIV è anche una difesa dell’identità

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“In chiesa regnano schitarrate e testi imbarazzanti”. L’appello che il maestro Riccardo Muti ha lanciato a papa Leone XIV è una difesa a spada tratta della tradizione musicale e della solennità che i grandi compositori del passato hanno regalato non solo alla religione cristiana, ma a tutta l’umanità. L’appello al Pontefice è parte di una grande battaglia che il Maestro sta conducendo da molto tempo per la difesa dell’identità della musica, e non solo. Non a caso, nella lunga intervista al “Corriere della Sera”, Muti ha voluto ricordare quell’Antonio Salieri il cui duecentenario della morte è l’ennesimo anniversario tondo “bucato” dalle istituzioni culturali italiane. Così uno dei più grandi musicisti dell’età classica continua a passare alla storia con la grottesca immagine lasciata nel film di Milos Forman “Amadeus” del 1984: un uomo geloso del talento di Mozart fino ad arrivare ad avvelenarlo. Ovviamente, un falso storico (venato forse del solito veleno anti-italiano…).

Il maestro Muti è stato di recente protagonista anche dell’intervista all’interno della seconda puntata di “Inimitabili”, dedicata ad Arturo Toscanini. Là mi aveva raccontato di una lezione che il suo maestro, Antonino Votto, gli aveva impartito, a sua volta eredità di Toscanini: “con la musica non si fanno compromessi”. A maggior ragione, evidentemente, con la musica sacra, che è a un tempo arte e preghiera, “doppia preghiera”, potremmo dire parafrasando sant’Agostino. Per il Padre della Chiesa fondatore dell’ordine di cui fa parte Papa Prevost, infatti, “cantare è pregare due volte”.

Sono concetti che “CulturaIdentità” ha affrontato nel numero di inizio anno, dedicato proprio al Giubileo e alla Musica. Peraltro ricordando un altro dei giganti della composizione, Giovanni Pierluigi da Palestrina, di cui quest’anno ricorre il 500° anniversario della nascita. Palestrina, chiamato a ragione “il Principe della Musica”, è stato il più grande compositore di polifonia di tutti i tempi, tanto che su di lui è nata una leggenda – una volta tanto non “nera” come quella su Salieri: che la sua “Missa Papae Marcelli” avrebbe indotto i Padri Conciliari durante il Concilio di Trento a non abolire il canto dalle messe, come molti, influenzati da certe teorie protestati, avevano proposto. In realtà la “Papae Marcelli” venne composta pochi anni dopo lo scampato pericolo e il suo “Credo” è un vero e proprio manifesto programmatico, non solo teologico ma anche “politico”, visto che l’affermazione dei principi della dottrina cattolica (con quel “in unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam…”) vengono ribaditi con il vigore sanguigno, entusiasmante di un inno militare.

Un pensiero che bene conosceva Domenico Bartolucci, creato cardinale da Benedetto XVI, forse il più grande compositore italiano del XX secolo. Anche di lui “CulturaIdentità” ha parlato, ricordandone la figura di direttore del coro pontificio, la Cappella Sistina, che come il maestro Muti s’è battuto per tutta la vita per riportar la musica più tradizionale e solenne nelle chiese e per far conoscere il genio di Palestrina in tutto il mondo. Ma non solo: genio multiforme, Bartolucci ha scritto accanto a una vera e propria teologia in musica, anche pagine profane, in cui profondissime vibrano le corde dell’identità del territorio. Mugellano purosangue, è impossibile non vedere i paesaggi di quella sua amatissima Toscana chiudendo gli occhi mentre si ascolta la sua Sinfonia Rustica o il Concerto per pianoforte e orchestra.

Le parole di Riccardo Muti non nascono dal nulla: il nuovo Pontefice ha manifestato un interesse differente dal suo predecessore per la musica sacra fin dai suoi primi atti. Inoltre c’è un legame indiretto fra i due: Muti è direttore della prestigiosa Orchestra di Chicago, città natale di Prevost. Inoltre che la marea stia cambiando emerge anche da alcuni altri segnali: qualche giorno fa, il Pontificio Istituto di Musica Sacra, che negli ultimi 12 anni s’era un po’ appannato, ha diffuso dei podcast intitolati “Cantiamo con il Papa”, “Let’s sing with the Pope“, (cosa che difficilmente si sarebbe potuto fare senza un placet…) tutti dedicati al canto gregoriano.

L’appello del maestro Muti dunque è da sottoscrivere fin nelle virgole: la grande musica non è solo un patrimonio religioso, ma anche identitario. Anche chi non ha il dono della Fede sa emozionarsi davanti ai capolavori del passato e ne coglie il profondo legame con la civiltà e il territorio dove il loro compositore è nato e vissuto: CulturaIdentità ha più volte raccontato il rapporto dei musicisti con le loro città identitarie, come Leoncavallo con Potenza: riportare, come auspicato dal Maestro, la musica sacra nelle chiese ricorderà agli italiani che hanno dei magnifici antenati in grado di comporre immortali capolavori.

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