L’Europa di Mazzini che non c’è più

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A metà dell’Ottocento uno scrittore irlandese, Thomas Osborne Davis, fondava il settimanale The Nation, che promuoveva la causa dell’indipendenza dell’Isola Verde dall’Impero Britannico. Il movimento che si sviluppò attorno alla rivista assumeva un nome che al lettore italiano risulterà familiare: Young Ireland, Giovane Irlanda.

Ovunque il riferimento alla giovinezza si associ alle battaglie di libertà e nazionalità, siamo sicuri che la lezione di Giuseppe Mazzini abbia prodotto i suoi effetti. Infatti i nazionalisti irlandesi dell’Ottocento si ispiravano apertamente all’insegnamento mazziniano: indipendenza nazionale, idea repubblicana e sociale, senso del dovere civico concepito come un senso religioso. Erano questi i germi che Mazzini aveva seminato in tutta Europa e che portarono alla nascita di movimenti come la Giovane Germania, la Giovane Polonia e appunto la Giovane Irlanda.

Il pensiero di Mazzini faceva germogliare il fiore del patriottismo sociale senza le spine dei nazionalismi. Per quanto riguarda l’Irlanda, l’indipendentismo repubblicano cercava di evitare quella guerra civile religiosa che poi sarebbe divampata nel Novecento: l’Irlanda repubblicana sarebbe dovuta diventare la casa comune di cattolici e protestanti. Questo il senso della bandiera nazionale che trae origine dal movimento della Giovane Irlanda: il tricolore col verde (cattolico) e l’Orange dei protestanti congiunti dal bianco della pacifica convivenza. Ovunque un popolo aspiri all’indipendenza, Mazzini è amato. Se dall’Irlanda ci si sposta nella lontana India ugualmente troviamo ammirazione per l’apostolo genovese, anzi nella terra dei Brahmani e degli Yogin Mazzini diventa oggetto di un culto addirittura religioso. Prima che Nehru gestisse la decolonizzazione all’insegna di un blando socialismo laico, l’India aveva tratto linfa per la sua battaglia di autodeterminazione da pensatori spirituali, come Aurobindo, che traevano le loro motivazioni dalla tradizione trimillenaria del subcontinente. In questo contesto si inserisce la valorizzazione di Mazzini che per il nazionalista Bipin Chandra aveva superato con la sua visione i limiti della Rivoluzione francese e con la sua idea di Umanità aveva espresso una concezione sociale che rifletteva il Monismo delle Upanishad. Per il brahmano Sarvakar Dei il concetto mazziniano di dovere corrispondeva in pieno al “dharma” induista; e la formula “Dio e Popolo” era un vero e proprio mantra.

Eppure Mazzini, ammirato in Irlanda e venerato in India, fu sconfitto in patria, almeno nel suo tempo. Patì il suo essere all’avanguardia: un uomo del futuro incompreso nel suo tempo. In fondo oggi l’Italia è una repubblica come avrebbe auspicato lui, anche se con molti aspetti che agli occhi del Profeta dei doveri sociali sarebbero apparsi grotteschi. Per la sua concezione dell’Europa, Mazzini appare ugualmente profetico. Una Europa quella concepita da lui molto diversa dal moloch burocratico che oggi si muove con rigidi scatti nel difficile presente segnato da pandemia e crisi energetica.

Dovrebbe essere colto un particolare significativo: quando parlava dell’Italia, Mazzini era “centralista”, rifiutava le soluzioni confederali e auspicava un ordinamento democratico-unitario, quando invece parlava di Europa egli affermava l’idea di una confederazione, ovvero di una libera unione tra le nazioni del Continente. L’Europa di Mazzini è il contrario della omologazione che mortifica le identità nazionali. Infatti per lui le nazioni romanticamente hanno un’anima, che si manifesta nella lingua, nei costumi, nelle particolari predisposizioni; in quanto organismi storici le nazioni hanno una missione che ispira il “dovere” individuale dei cittadini: una concezione molto simile a quella romana dell’officium. La confederazione europea lungi dal cancellare i tratti nazionali con imposizioni burocratiche totalitarie avrebbe dovuto rappresentare il luogo della cooperazione tra popoli liberi. Certo si tratta di una concezione sublime, anche un po’ ingenua laddove immagine una unione senza il baricentro di uno Stato egemone. Napoleone a suo tempo aveva immaginato una Europa coesa sotto la guida della Grand Nation ovvero la Francia uscita dal crogiuolo rivoluzionario e ricondotta a legge, ordine e misura dal genio “cesarista” dell’imperatore venuto dalla Corsica. Ma oggi non si intravede un Napoleone che abbia il carisma storico di dettare una linea all’intero continente irreggimentandolo in un Super Stato. Di certo non ha il carisma della leadership la Germania, che nel giro di venti anni ci ha propinato l’ordoliberismo dell’austerity, poi il sentimentalismo del “refugees welcome” e oggi addirittura rischia di spegnere le luci delle nostre città con l’estremismo ecologista.

E allora tanto più attuale ci appare la lezione di Mazzini, che invita ad amare la nazionalità come un valore spirituale e a concepire l’Europa come un luogo di incontro realistico – non di dissoluzione – delle identità nazionali.

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