Lo studio, l’iperbole e il senatore 5 Stelle

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Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797, Biblioteca Nacional de Espana, Madrid - Pubblico dominio, commons.wikimedia.org

“Solo oggi mi rendo conto che ho fatto bene a non studiare da ragazzo. Invece di stare addosso ai libri mi sono divertito e ho girato il mondo. Tanto, mi pare di capire, sarei stato in ogni caso un morto di fame … anche se fossi diventato notaio”. La solita foto a corredo con dei numeri che confermano le difficoltà del momento: 120.000 domande di avvocati, 79.720 domande di ingegneri 24.300 domande di commercialisti e 330 domande di notai per richiedere l’indennità di 600 euro.

Non è un influencer che l’ha scritto, ma un senatore della Repubblica. Dei 5 stelle. Il senatore de quo, che ha candidamente confessato di non essere stato “addosso ai libri”, prontamente si è affrettato a spiegare che trattasi di iperbole. Anche dotto, il senatore! Più cercava una via d’uscita e più si cacciava in un mare di guai. “Una provocazione” aggiungeva sempre dal proprio profilo facebook “… ma se non la capisci è peggio per te”.

Facciamo due chiacchiere, caro senatore, anche solo virtualmente. Certo come lei scrive “non si diventa senatore per concorso, ma coi voti”. Si, il voto. Quale? Quello dell’uno vale uno? Quello che ha stabilito quali debbano essere gli eletti in base alla posizione nella lista secondo le scelte del capopartito?

La nostra fragile democrazia, già da tempo malata, ha finito per produrre mostri. Il sonno della ragione li ha generati. E noi siamo qui a sopportarli. Non ha un granello di sale in zucca chiunque sostenga che il problema è la disputa tra essere o no morto di fame, con la laurea o senza la laurea.

Un giovane avvocato versa obbligatoriamente alla cassa forense assai di più dei 600 euro che otterrà. Uno studio professionale ha anche altri costi fissi (Costo licenza piattaforma processo telematico, assicurazione per la responsabilità civile, gestione privacy, canone di locazione, contratti di fornitura, ecc.). E non è per libera scelta che gli avvocati, gli ingegneri e, perché no, anche i notai in questo periodo non svolgono la propria attività. È una norma dello Stato che lo vieta.

Per chi non avesse capito una briciola di quello che ho scritto, vorrei rammentare che il diritto alla difesa è garantito a tutti, proprio a tutti, dalla nostra Costituzione e non può essere esercitato senza la presenza degli avvocati.

Se dall’avvocato, mi aspetto che faccia l’avvocato, dal legislatore (e lei lo è, caro senatore) mi aspetto che proponga e sostenga leggi che rendano accessibile il diritto allo studio, che agevolino l’avvio alle professioni, che valorizzino il sapere, le competenze e la cultura e che non valutino un professionista, che paga tutti i tributi allo Stato, con una cifra che è inferiore a quella del reddito di cittadinanza. La moneta è misura di valore.

Lei, forse, ha fatto bene a non studiare ma sappia che anche lo studio è “divertimento” se fatto con autentica passione. Interpretare le norme è passione, comporre una lite è passione, trovare una soluzione per il cliente è passione. Tutelare un diritto è passione. Per queste passioni non è detto che si debba rinunciare ad altre passioni. Tra un allenamento e l’altro, tra una partita e l’altra, io avevo un libro o un codice, sostenevo un esame e poi altri esami. Finito con la laurea? No, la pratica forense e ancora esami per l’abilitazione, scritti ed orali. E il master. Io sono fiero di essere quello che sono e come me centinaia di migliaia di giovani che stanno “addosso ai libri”.

Non sarà certo lei che distoglierà da queste passioni tutti quelli che hanno sete di sapere in qualunque scibile umano, tra vittorie e sconfitte, tra disinganni e successi. Le sue parole ci feriscono profondamente ma non ci convincono della loro bontà.

Signor Senatore della Repubblica, non se ne abbia a male, ma le ho voluto proporre semplici iperbole. Se ha tempo, le sottolinei e ci rifletta.