Accettare, coscientemente rassegnati, il dovere dell’isolamento, in una condizione di quarantena forzata, è una prova difficile per tutti, una novità spiazzante che però può essere – deve essere – in qualche modo riempita. Perché – hai voglia a chiamarla casa dolce casa! – da soli o con la famiglia, questo periodo imposto di isolamento rischia di trasformare questo improvviso e forzato tempo libero dentro casa in un incubo sociologico.
Viviamo con profondo senso drammatico questi giorni con questa chiusura dell’Italia per l’emergenza sanitaria in corso che ha sospeso temporaneamente le nostre vite stravolgendo le nostre abitudini.
Eppure, a ben riflettere, dobbiamo riconoscere, rileggendo i libri di storia, che non stiamo scoprendo nulla di nuovo o di diverso. È una condanna che l’uomo spesso ha dovuto scontare, in altre epoche ed altre storie. E ciò che più stupisce è che tutto ciò non ha distrutto l’essere umano né la società; quel tempo passato nella costrizione di una condizione di isolamento non ha rappresentato la sua fine, quanto piuttosto un nuovo inizio.
Soprattutto, ci rendiamo conto che come essere umani non siamo mai cambiati, certe reazioni, certi modi di fare sono – ora come allora – sempre uguali e richiamare alla memoria certe catastrofi passate, aiutano a capire e soprattutto a scoprire che, in fondo, nulla è cambiato, l’essere umano non è cambiato.
Ad esempio, nella città in cui vivo, Vibo Valentia, si è vissuto in passato una situazione simile a causa di un’altra grave e pericolosa epidemia e, a rileggerla oggi, sembra di rivivere più o meno le stesse situazioni, le stesse reazioni, le stesse idiosincrasie, insofferenze, dietrologie.
Era il 1844 e in Calabria il colera faceva la sua prima apparizione a luglio a Paternò Calabro, piccola paese della provincia di Cosenza.
Racconto questo episodio in un mio e-book, pubblicato proprio in questi giorni (con il gruppo youcanprint), dal titolo Covid-19 Libertà e Diritti in Quarantena.
La cronaca del tempo racconta che era stato portato da contadini reduci dalla Tunisia sbarcati a Marsiglia dove avevano acquistato involti di abiti. Sei casi bastarono a destare un allarme straordinario. Anche a Monteleone (il vecchio nome dell’attuale Vibo Valentia) l’allarme colpì la sensibilità della popolazione. Si impiantarono lazzaretti nei locali della Silica e nella casina Scannapieco; furono predisposti cordoni sanitari e quarantene; furono esercitati strumenti preventivi che non tenevano conto dei precetti legislativi né della norme scientifiche, a dispetto del fatto che il Governo definiva tutto questo una “esagerata paura”.
Come ricorda Domenico Protettì nel suo libro Il Formidabile Bastione – Sociabilità privata e pubblica a Monteleone di Calabria (XIX – XX sec.), pubblicato nell’ottobre 2019: “si invocarono provvedimenti urgenti riguardo alle immissioni di acqua sporca negli orti circostanti alla Città e alla macerazione del lino e della canapa”.
Diversi provvedimenti e divieti si susseguirono. A Monteleone furono costituite due commissioni con il compito di preservare la Città e rimuovere dal paese tutte le cause di insalubrità. Con provvedimenti urgenti, furono dichiarati “animali immondi” capre, pecore, maiali, buoi, per i quali fu vietata la presenza nell’abitato, ma non asini, muli e cavalli. Fu vietata la vendita della frutta immatura e delle carni di animali morti per malattia; fu disposta la disinfestazione degli urinatoi pubblici.
Nel frattempo, disordini si manifestavano in tutta la Calabria. Sempre Protettì nel suo libro ricorda: “il servizio postale fu interrotto sia con Reggio che con Catanzaro e fu bloccato il servizio ferroviario poiché i treni venivano respinti dai cittadini a fucilate”.
La situazione era divenuta incontrollabile al punto che: “Il Governo provvide ad inviare due battaglioni a Reggio ed uno a Catanzaro, mentre la pirofregata Maria Pia, armata di ventisei cannoni e con a bordo duemila uomini, faceva rotta per Reggio con il compito di proteggere lo sbarco delle corrispondenze, e dispose che il trasporto dei passeggeri e merci si facesse, in Calabria, con vagoni e materiale rotabile proprio, attivando uno speciale servizio di spezzettatura dei treni e trasbordo alle sue frontiere”. Non meno incandescente era la situazione a Monteleone. Il ripetersi della storia è davvero straordinario!
Sempre attingendo dal libro Il Formidabile Bastione di Domenico Protettì, scopriamo, infatti, che: “A Monteleone, quando per effetto di una circolare ministeriale si dovettero adottare misure più razionali ma contrarie ai pregiudizi popolari, il cavaliere Acanfora (in qualità di sottoprefetto, Acanfora era il massimo rappresentante del Governo in sede, ndr), dandosi ammalato (in effetti, Acanfora era a conoscenza del fatto che fosse già da tempo malvisto dalla popolazione, ndr), non diede prova di quell’energia che sarebbe stata necessaria per frenare i disordini popolari. Infatti, i cittadini rifiutarono, per diffidenza e pregiudizio, l’osservanza delle precauzioni igieniche e sanitarie imposte per prevenire il terribile flagello e si rivoltarono contro gli agenti del Governo accusandoli di aver propagato il morbo per ordine segreto dello stesso”.
Insomma, come si può notare, passa il tempo, cresce il livello medio di cultura nella società, aumentano le fonti di informazione e le possibilità di una comunicazione più veloce e tempestiva, ma… l’essere umano non cambia!
Complottisti, dietrologi, analisti politologi e simili sempre sono esistiti e sempre esisteranno, sempre in grado di sobillare la massa, che accetta volentieri alibi utili a scrollarsi di dosso responsabilità, obblighi, incombenze.
Le cronache raccontano che sulla spiaggia di Santa Venere (l’attuale Vibo Marina), ottocento persone impedirono lo sbarco di uomini e merci dal piroscafo proveniente da Napoli, dove il colera già mieteva migliaia di vittime. Per disperdere i dimostranti, sulla spiaggia di Pizzo si decise per l’intervento delle truppe e si registrarono numerosi arresti, al punto da riempire le carceri di Monteleone.
Insomma, nulla è cambiato, allora come ora… Se pensiamo che i numeri raccontano che ad oggi sono più gli italiani denunciati per il mancato rispetto delle restrizioni, che quelli morti a causa del coronavirus.