L’Europa è dei popoli, non delle elite di Ventotene

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Ampolloso, noioso, superficiale. Basterebbero questi tre aggettivi per liquidare uno dei più sopravvalutati testi della politica novecentesca, trasformato dalle sinistre in una specie di Vangelo incontestabile, tanto da provocare l’isterico pianto di un parlamentare davanti al rifiuto da parte di Giorgia Meloni di fare proscinesi.

Ebbene, quel famigerato “Manifesto di Ventotene” va letto, senza dubbio. Un testo adolescenziale, al massimo da matricola universitaria, che annette agli Stati nazionali colpe che non hanno e trascura completamente le problematiche create dal mondo capitalista e in particolare dalla finanza, veri pupari degli scenari geopolitici dell’età contemporanea. Per Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi lo Stato nazionale è il solo male, la causa di tutte le disgrazie d’Europa, addirittura della “crisi della civiltà”. Chi lo difende dunque è reazionario e chi vuol guardare oltre rivoluzionario. Da questo assioma discende tutto il resto del discorso, dove si mescola buon senso un tanto al chilo e irenismi scollegati da ogni realtà materiale, culturale e storica dell’Europa.

Altiero Spinelli

Spinelli e Rossi, assieme a Eugenio Colorni, redassero questo manifesto nella noia del confino a Ventotene, nel tardo 1941. Nell’isoletta tirrenica erano riunite alcune centinaia di oppositori politici al regime fascista. A differenza di ciò che avveniva agli avversari di altri regimi, a Ventotene non si moriva di lavoro coatto e i confinati avevano assai tempo da dedicare ad attività intellettuali. In quell’ozio, mentre il mondo andava in fiamme, Spinelli, Rossi e Colorni buttarono giù un’idea di Europa del tutto ideale. Un continente riunito da un governo centrale, dotato di un esercito unico che avrebbe lasciato alle singole nazioni una “vita politica secondo le loro peculiari caratteristiche”, poco più di un’amministrazione di condominio, essendo comunque lasciato al regime centrale la politica estera e i cordoni della borsa.

In economia – tanto se n’è parlato in questi giorni – il “Manifesto” è dirigista, quasi marxiano, con una sensibile limitazione del diritto di proprietà. Ciò che pochi hanno colto è che i punti nei quali viene elencata una futura politica economica europea somigliano beffardamente da vicino alla teoria e prassi del riformismo fascista, dalle statalizzazioni delle industrie strategiche in stile IRI alla riforma agraria, che proprio nel 1941 stava cominciando a raccogliere i frutti più significativi con l’attacco al latifondo (la “bonifica integrale”) e infine una scuola che fosse un ascensore sociale, come realizzato senza pari proprio dal Liceo Classico gentiliano. Insomma, quegli antifascisti che erano finiti al confino per l’opposizione al regime finivano per tratteggiare una società futura in cui tanta della politica dell’odiato Ventennio veniva traslata.

Il resto del programma è invece un socialismo utopico che ricorda da vicino le teorie dei fabiani britannici (del resto diversi dei confinati a Ventotene erano sicuramente a conoscenza delle tesi della Società Fabiana): dirigismo, limitazioni alla proprietà privata e al diritto di lasciare i propri beni in eredità ai figli, un “reddito di cittadinanza” sotto forma di beni di prima necessità e una fumosa considerazione sulla politica sindacale che non riesce neppure a essere chiara quando rifiuta l’ordinamento corporativista dello Stato fascista, considerato “di cartapesta”.

Ma col fabianesimo il “Manifesto di Ventotene” condivide un altro punto, probabilmente quello più qualificante e inquietante: la sfiducia nelle capacità dei popoli di autoregolarsi. La democrazia è un punto d’arrivo, ma nel frattempo a dirigere l’Europa Unita verrà chiamata una elite di illuminati, un partito rivoluzionario che è tale per un unico motivo: abiurare, maledire e detestare gli Stati nazionali.

Il tutto criticando i totalitarismi ma poi affermando che “occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare”. Del resto secondo Spinelli, Rossi e Colorno – evidentemente del tutto digiuni degli studi di Vilfredo Pareto e Renato Michels sulle oligarchie – un partito rivoluzionario potrà costituire una dittatura attraverso la quale c’è la possibilità che non si sbocchi in un “nuovo dispotismo”. Se lo dicono loro…

Insomma, questo sopravvalutatissimo libello di 50 mila battute mal contate, scritto con superficialità e dilettantismo ideologico viene oggi considerato come un “pilastro dell’Europa” da quelle istituzioni che stanno facendo di tutto per distruggere le identità, rendere i governi nazionali sempre più dei passacarte di un superstato centralizzato e svuotare i popoli dai loro diritti sovrani, in attesa che l’«elite illuminata» da loro rappresentata possa costruire il regime perfetto.  

Il “Manifesto di Ventotene” non parla mai delle identità dei popoli, disprezza le nazioni, intende calpestare i diritti delle famiglie a lasciare i propri beni in eredità alla discendenza e attacca la Chiesa cattolica depositaria di una tradizione quasi bimillenaria che è alla base dell’identità del nostro continente. La sua è una visione senza storia, senza cultura, senza specificità. Un non-luogo politico, un non-luogo culturale, un non-luogo storico. Non stupisce dunque vedere come si dividano le tifoserie fra chi lo ama e chi no.  

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