Miseria morale e capacità di delinquere nel vibonese

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La disorganizzazione sociale è prodotta dallo scollamento tra la norma e la condotta generalizzata volta con disinvoltura all’inosservanza della stessa
Foto di Arek Socha da Pixabay

L’inchiesta Rinascita-Scott della DDA di Catanzaro ha portato nel vibonese all’arresto di 350 persone e 500 indagati. Anche se l’accusa del PM ovviamente non equivale a una condanna, tralasciando l’aspetto giuridico e penalistico, possiamo però fare una riflessione criminologica sulla capacità a delinquere nel vibonese. Ma perché un cittadino dovrebbe identificarsi con i modelli criminali? Una risposta può darcela lo studio di Robert Merton: all’interno della società sorge un conflitto tra fini socialmente approvati e mezzi socialmente disponibili per raggiungerli; in altre parole, viviamo in una società dove si proclamano come mete la ricchezza e il successo economico, ma i mezzi legali per raggiungere tali mete appartengono a una ristretta minoranza. La spinta al successo e al benessere economico viene sentita dunque come necessità sociale, ma per gli individui esclusi dai mezzi socialmente approvati una tale meta risulta irraggiungibile. Il delinquere si presenta allora come espediente per raggiungere dette mete sociali.

Se però mettiamo da parte  l’inchiesta-Gratteri e facciamo un giro in auto a Vibo, si nota subito che non si vedono vigili urbani a dirigere il traffico. Niente educazione stradale. Poi, si vede che commercianti e residenti occupano il suolo pubblico incuranti che detta condotta criminogena sia sanzionata da due differenti testi normativi: Codice della Strada -all’art. 20, “Occupazione della sede stradale“- e Codice Penale -all’art. 633, “Invasione di terreni o edifici“-).

Questa condotta irregolare è dovuta ai fattori disorganizzativi sociali e porta diritti alla  perdita di efficacia dell’autorità. Una città non può essere terra di nessuno finché non interviene Gratteri. La disorganizzazione sociale è prodotta dallo scollamento che sussiste tra la norma e la condotta generalizzata volta con disinvoltura all’inosservanza della stessa. Questa attitudine a violare la norma fa acquisire la capacità a delinquere e da qui il salto successivo porta alla pericolosità sociale dello stesso individuo.

Ragion per cui, da questi individui  puoi aspettarti di tutto: dall’estorsione anche per pochi spiccioli, alla minaccia per un parcheggio, fino a giungere all’accoltellamento o sparatoria con o senza appartenenza a un’organizzazione criminale.

Ma l’attitudine a violare con disinvoltura la norma e di riflesso l’assenza delle conseguenze sanzionatorie di alcun tipo per tali condotte crea l’anomia, che indica la deregolamentazione, lo svuotamento e l’inefficacia di significato delle norme. Se è così facile violare la norma in un contesto sociale, vuol dire: o che la morale è bassa o pressoché inesistente; o che la norma è inadeguata, oppure, che pur osservandola non porta a dei vantaggi sociali divenendo più comodo e vantaggioso la sua inosservanza;   oppure, che vige nel tessuto sociale una corruzione degli apparati con discriminazioni nell’applicazione delle norme a favore di gruppi di maggior prestigio sociale. Miseria della morale, dunque.

Morale è il principio che guida le mie azioni; distinguere il bene dal male; morale è dire la verità quando mi viene chiesto qualcosa. Morale è adempiere agli impegni presi. La morale non è legata soltanto a un mio agire, ma anche a una situazione storica contingente. Noi possiamo agire secondo criteri di tipo morale o immorale, possiamo scegliere se essere nel giusto o non esserlo.

La disorganizzazione sociale è prodotta dallo scollamento tra la norma e la condotta generalizzata volta con disinvoltura all’inosservanza della stessa

La via dell’essere giusti è stata indicata da Kant in “La critica della ragion pratica”, preoccupandosi di dire agli uomini come devono agire per essere giusti, per essere morali. I filosofi prima di lui ritenevano di individuare la virtù fuori dall’individuo, esternamente all’uomo. Kant invece non la pensava così, per lui la legge morale è dentro di noi, risiede nella ragione umana. E’ la ragione che ci fornisce gli strumenti per poter agire in maniera morale. Nelle scelte possiamo essere guidati da motivi personali esterni, ma per Kant invece, la legge morale è e deve essere dentro di noi, ossia nella ragione che agisce tramite la volontà. La volontà è il criterio soggettivo che utilizziamo e la guida che diamo all’azione. Se la mia massima, il mio criterio soggettivo è legato al piacere, alla felicità, al dettato divino, all’egoismo allora agisco fuori della moralità; se invece agisco sulla base della legge interiore, allora il mio agire sarà morale.

La legge morale che è dentro di noi è inflessibile. Di fronte a una certa azione la voce ci dice “tu devi” senza se e senza ma, poi possiamo darle ascolto o ignorarla, ma per Kant dobbiamo assecondarla senza mezzi termini, solo così siamo nella moralità. Questa voce interiore è imperativa e categorica, non ammette   deroghe. Imperativo categorico è diverso dall’imperativo ipotetico. L’agire morale non ha dunque finalità esterna ma interna a noi. In buona sostanza devi agire in modo tale che la massima su cui tu agisci deve essere valida per tutti, tutti possono utilizzarla, deve essere universale. Se la massima del mio agire è uccidere qualcuno o estorcerli denaro o fargli del male, non è una massima condivisibile, universale, valida per tutti. E’ immorale.