Minacce in piazza, insulti sui social, parole distorte per creare il caso e rinfocolare la polemica. Contro Giuseppe Valditara si sta scatenando un fuoco di sbarramento feroce.
Del resto, l’aveva detto il professore di liceo e consigliere municipale Christian Raimo: Valditara è “un bersaglio debole” e per questo “va colpito”. Soprattutto Valditara sarebbe il “frontman” di una visione del mondo non wokeista riguardo la scuola e l’educazione in generale. Per questo va distrutto “come la Morte Nera di Guerre Stellari”, ha rincarato Raimo, in una delle sue esternazioni contro il ministro (condite di insulti come “arrogante, cialtrone, lurido”, all’indirizzo delle posizioni di Valditara) che qualche giorno fa gli sono costate la sospensione dalla cattedra per tre mesi.
Con “cattivi maestri” come questo non è strano vedere gli studenti che manifestano a Torino bruciando il ministro in effigie, mentre alzano il segno della “P38”, la stessa minaccia che si vedeva durante gli Anni di Piombo.
La realtà dietro le parole di un Raimo è che Valditara sta – lentamente e con molta fatica – aprendo una breccia in quel fortino di degrado woke che è diventata la scuola italiana, anche grazie alle “riforme” introdotte dai governi di sinistra a partire dal semi-golpe di Mario Monti nel 2012. La sostituzione dei programmi di istruzione con programmi di indottrinamento allineati e coperti ai desiderata del globalismo (la cosiddetta “agenda 2030” ne è la punta dell’iceberg) si unisce a una classe docente sfiduciata e rassegnata oppure in buona parte ideologizzata in senso radicale e convinta che lo scopo della scuola non sia quello di dare un’educazione e un’identità collettiva ai giovani, bensì quella di indottrinarli verso ciò che essi ritengono “progressivo”.
L’ultima occasione di polemica contro Valditara s’è accesa con le parole pronunciate dal Ministro durante l’inaugurazione della fondazione dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin. Parole immediatamente strumentalizzate per creare l’ennesimo caso.
Tanto che il Ministro ha dovuto dare una “interpretazione autentica” del suo discorso, come specificato in un articolo su RaiNews24: le violenze contro le donne in Italia non sono “colpa degli immigrati”, come asserito dagli esegeti del Valditara-pensiero, bensì una parte cospicua di esse derivano dalle condizioni di “marginalità e la devianza conseguenti a un’immigrazione irregolare”. Cosa che del resto chiunque può constatare leggendo le statistiche: tanto per fare un esempio, secondo il rapporto 2022 dell’Organizzazione mondiale della Sanità, l’incidenza di disturbi psichici legati alla depressione è nove volte più alto fra gli immigrati che fra gli autoctoni.
Ma ciò che ha urtato di più la sensibilità ideologica dei nemici di Valditara è la realtà materiale dietro le sue parole. Valditara ha giustamente specificato che non condanna il peccatore ma il peccato. Gli autori di una sproporzionata fetta di violenze contro le donne sono indubbiamente stranieri, la cui propensione a compiere determinati reati e molte volte superiore a quella degli italiani. Cosa che ha spinto numerosi commentatori a giocare coi numeri: è ovvio che in valore assoluto i reati di violenza commessi da cittadini italiani (nel cui novero vanno però inseriti anche i “nuovi italiani”, si badi bene…) sono di più di quelli commessi dagli immigrati: il 74% del totale. Ma gli italiani sono il 90% circa della popolazione della Penisola… ne consegue, con un banale calcolo aritmetico, che la propensione a compiere reati contro le donne è quasi quattro volte maggiore fra gli immigrati.
Vale la pena – en passant – di far notare come il dato che viene fatto tendenziosamente circolare in questi giorni (“il 93,9% delle donne è ucciso da italiani”) è falso per come viene posto, perché esso riguarda solo le vittime italiane, mentre il computo deve considerare tutta la popolazione sul territorio, compresi gli stranieri, che non sono solo autori, ma anche vittime.
Un dato che cozza ferocemente con le narrazioni ireniste care al fronte wokeista. Tanto che in certi paesi (quelli “più avanzati” secondo la narrazione liberal), dove i reati d’opinione sono più estesi e duramente repressi che in Italia, affermare la verità di certi numeri può costare caro. In Gran Bretagna, col regime woke imposto da Starmer, per aver riportato numeri e statistiche sui social a scopo polemico si può ricevere la visita della polizia a casa e si rischia il carcere. In Germania Marie-Thérèse Kaiser, consigliera dell’AfD in Bassa Sassonia, è stata condannata 6.000 euro di multa per aver diffuso le statistiche (ufficiali) sulla propensione degli immigrati afghani o africani a essere coinvolti in casi di stupro di gruppo (rispettivamente 70 volte e 40 volte maggiori che di un cittadino tedesco). Secondo il tribunale che ha condannato la Kaiser, la diffusione di queste informazioni sarebbe “lesiva della dignità umana”. Dati – ribadiamo – prodotti da organi ufficiali dello Stato tedesco, ma che secondo i censori che hanno perseguito la Kaiser non devono essere portati a conoscenza della cittadinanza, e comunque mai in un contesto di critica all’immigrazione.
Le statistiche dunque danno ragione a Valditara, che pure è costretto a perdere tempo per spiegare cosa ha detto. E visto ciò che accade nei cosiddetti “paesi più avanzati”, l’assunto di George Orwell diventa sempre più pericolosamente d’attualità: “libertà è poter dire che due e due fa quattro”.