Da Nassirya a Kindu, l’Italia ricorda i caduti per le missioni all’estero

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In un mondo dove conflitti e instabilità rappresentano una tragica cronaca, il 12 novembre rappresenta per l’Italia un momento di profonda riflessione e commozione. È la “Giornata del Ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace“, istituita con la Legge n. 162 del 12 novembre 2009, in occasione dell’anniversario della strage di Nassiriya.

Ma questa data è anche un simbolico intreccio di memorie: il 12 novembre evoca anche l’eco di un altro tragico evento accaduto lo stesso giorno, l’Eccidio di Kindu del 1961, ampliando il raggio del ricordo a una delle prime missioni di pace italiane sotto l’egida ONU.

Il ricordo più cocente è quello del 12 novembre 2003, quando un camion imbottito di esplosivo si scagliò contro la base “Maestrale” italiana a Nassiriya, in Iraq, istituita nel quadro della missione “Antica Babilonia”. L’attentato causò 28 vittime: 19 italiani e 9 iracheni. Tra i caduti italiani, 12 erano carabinieri, 5 militari dell’Esercito e 2 civili. Quell’episodio, uno dei più gravi nella storia recente delle Forze Armate italiane, simboleggia il prezzo pagato per la pace in teatri operativi complessi e pericolosi.

Da quando se ne decise l’istituzione, sei anni dopo, la Giornata si è evoluta in un omaggio più ampio a tutti i caduti italiani – oltre 800, tra militari e civili – nelle missioni internazionali. Dalle operazioni in Libano e Kosovo a quelle in Afghanistan e Africa, questi uomini hanno operato sotto bandiere ONU, NATO e UE.

La data scelta, quella della strage di Nassiriya, coincide per un tragico caso della storia, con quella di un altro eccidio di militari italiani in missione di pace, il primo subito dall’Italia dopo la Seconda guerra mondiale: l’Eccidio di Kindu. L’11 e 12 novembre 1961, a Kindu – nella Repubblica del Congo (oggi Repubblica Democratica del Congo) – si consumò uno dei primi e più dolorosi capitoli della storia italiana nelle missioni di pace internazionali. Durante la guerra civile scoppiata dopo l’indipendenza dal Belgio nel 1960, l’Italia partecipava alla missione ONU (ONUC) per ristabilire l’ordine e contrastare la secessione del Katanga, sostenuta da mercenari e fazioni armate. Tredici aviatori militari italiani della 46ª Brigata aerea di Pisa, equipaggi dei due aerei C-119 “Lyra 5” e “Lupo 33”, atterrarono a Kindu per rifornire una guarnigione ONU malese. Dopo oltre un anno di servizio nel Paese, erano in procinto di rientrare in Italia. Ma un tragico equivoco li condannò: scambiati per velivoli katanghesi carichi di paracadutisti belgi, furono assaliti da centinaia di miliziani congolesi di Stanleyville. Disarmati, gli aviatori comandati dal maggiore Amedeo Parmeggiani si barricarono nei locali della mensa ONU insieme ai malesi. Ben presto sopraffatti, in quanto bianchi vennero separati dai malesi e malmenati. In quel frangente il tenente medico Francesco Paolo Remotti fu ucciso mentre tentava di fuggire. Trasportati in camion e rinchiusi in una prigione locale, nonostante ogni tentativo dei malesi e degli altri ufficiali dell’ONU di convincere i congolesi che gli italiani erano personale delle Nazioni Unite, la notte fra l’11 e il 12 novembre i nostri uomini furono massacrati a colpi di mitra. I loro corpi vennero sepolti in una fossa comune nella foresta per sottrarli allo scempio dei fanatici miliziani e furono ritrovati solo nel febbraio 1962 da un convoglio ONU e della Croce Rossa austriaca e rimpatriati in Italia.

Nel 1994 fu riconosciuta alla loro memoria la medaglia d’oro al valore militare; solo nel 2007 i parenti delle vittime ottennero una legge sul risarcimento. Le salme riposano oggi nella Cappella Sacrario ai Caduti di Kindu all’aeroporto di Pisa, con un’epigrafe che recita: «Fraternità ha nome questo Tempio che gli italiani hanno edificato alla memoria dei tredici aviatori caduti in una missione di pace, nell’eccidio di Kindu, Congo 1961. Qui per sempre tornati dinnanzi al chiaro cielo d’Italia, con eterna voce, al mondo intero ammoniscono. Fraternità».

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