Anni 50. Il boom. La giusta congiuntura del miracolo economico

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L’Italia uscì dalla Seconda Guerra Mondiale in una condizione drammatica. Intanto, il costo umano: 456.500 morti, tra militari e civili, nei vari fronti di guerra e in prigionia, compresi i morti nella zona orientale dell’Italia (Istria, Trieste, Fiume), i morti della guerra civile dopo la fine del conflitto e quelli dopo la “resa dei conti” del 25 aprile 1945. Di questi, quasi il 40% civili. Poi, il costo economico: più di 2 milioni di abitazioni distrutte dai bombardamenti, un milione quelle danneggiate gravemente, pari al 10% della disponibilità abitativa di prima della guerra. Il 60% delle strade statali fuori uso, più di 8 mila ponti distrutti, il 70% delle attrezzature portuali inutilizzabile, mentre scuole, ospedali e stazioni ferroviarie erano distrutti per il 40% . Per quanto riguardava le ferrovie, risultava inutilizzabile il 60% delle locomotive, il 90% delle carrozze viaggiatori; erano poi da ripristinare 25 Km di gallerie e l’80% delle linee elettriche. L’industria lamentava la perdita del 20% circa delle attrezzature esistenti nel 1939, ma il livello della produzione industriale risultò ridotto a un quarto rispetto al periodo prebellico. Ciò fu dovuto anche alla stagione di conflittualità operaia, manifestatasi in maniera particolarmente violenta dopo la Liberazione. Sicuramente più grave la situazione agricola: la produzione del 1945 segnò una diminuzione del 60% rispetto a quella del 1938, il patrimonio zootecnico era ridotto al 75% Il costo complessivo dei danni si calcolò in oltre 1000 miliardi dell’epoca.

Liquidato alla fine del 1945 il governo del CLN di Ferruccio Parri, Alcide De Gasperi divenne capo di un governo con socialisti e comunisti. Ben presto la Guerra Fredda condizionò anche i rapporti politici interni: la posizione strategica dell’Italia e la possibilità di usufruire del piano di aiuti americani (Piano Marshall) imposero una scelta, e cioè la necessità di escludere dal governo il partito comunista più forte dell’Occidente, un partito che proponeva, tra l’altro, la nazionalizzazione di tutte le aziende chiave del paese. Nel maggio 1947 nacque il primo governo centrista. Le elezioni del 18 aprile 1948 furono lo spartiacque del dopoguerra: la clamorosa vittoria della DC (48.5%) su comunisti e socialisti permise all’Italia di uscire da un confuso dopoguerra e di procedere alla ricostruzione. La ricetta economica di De Gasperi fu quella del liberista Luigi Einaudi che permise subito all’Italia di migliorare i suoi scambi con l’estero e di realizzare una politica di bassi salari e di contenimento dei prezzi. Nello stesso tempo, tuttavia, venne ridata forza all’Iri, che la Confindustria avrebbe voluto abolire in quanto “bardatura fascista”, e ciò determinò l’affermarsi di un equilibrio tra pubblico e privato che fu la formula vincente che permise il “miracolo economico”.

In pochi anni l’Italia ebbe un progresso imprevisto soprattutto nell’ambito siderurgico. Nel 1952 il reddito nazionale raggiunse il 7,6% mentre gli investimenti netti arrivarono al 27,8%. La scelta di De Gasperi fu essenzialmente politica, riuscendo, con la centralità della DC, a combinare il risparmio esaltato dai liberisti e lo sviluppo dei fautori dell’economia mista; il tutto senza impegnare il debito pubblico, visto che i conti dello Stato rimasero sotto controllo. Il governo centrista riuscì anche a svolgere una intelligente politica sociale, varando il Piano case Fanfani nel 1949, la Cassa per il Mezzogiorno e la riforma agraria di Segni nel 1950; si fecero anche interventi pluriennali di finanziamento pubblico per settori in crisi come la cantieristica. La individuazione di nuove fonti energetiche interne, realizzata dall’Eni di Enrico Mattei (metano e idrocarburi), diede ossigeno all’industria nazionale. Ciò fu possibile soprattutto a causa della stabilità politica dei governi centristi.

Ma De Gasperi si rendeva conto che con le successive elezioni la Dc non avrebbe potuto ripetere il clamoroso successo del 1948; pertanto tentò di dare stabilità al sistema politico attraverso una riforma elettorale di tipo maggioritario, subito bollata dalle opposizioni come “legge truffa”. Per una manciata di voti, nel 1953, non fu possibile conferire il premio di maggioranza alla coalizione centrista e la DC dovette ricercare maggioranze provvisorie. Fino al 1960 un aiuto le venne da destra: i governi Pella, Zoli, Segni II e Tambroni, furono sostenuti dal Movimento Sociale e dai monarchici. Anche questo permise di garantire l’onda lunga del miracolo economico, prima che la politica del centro-sinistra e alcune congiunture internazionali lo concludessero.

Per l’Italia, quindi, fu possibile uscire dal tunnel della crisi del dopoguerra attraverso una intelligente politica di recupero dell’esperienza maturata durante il fascismo e, soprattutto, attraverso l’esclusione dal governo di quelle forze che si opponevano al blocco occidentale, allo Stato di diritto, al pluralismo e alla libertà economica.