Beatrice Venezi: “Dirigo l’orchestra con i tacchi…mi slanciano!”

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Il mio mestiere ha un nome preciso e nel mio caso è quello di direttore d’orchestra, quindi chiamatemi direttore e non direttrice d’orchestra”, aveva detto nella quarta serata del 71esimo Festival di Sanremo condotto al fianco di Amadeus: mormorii, boccucce e oh signora mia, ma anche qualche reazione più feroce, gli indignati un tanto al chilo avevano chiosato col sopracciglio sollevato la dichiarazione di Beatrice Venezi, direttore d’orchestra appunto, classe 1990 da Lucca al mondo, in Francia all’Opéra di Metz per la Madama Butterfly di Puccini, a Nagoya in Giappone con l’orchestra filarmonica, a Londra con l’orchestra di Buckingham Palace per il Giubileo della Regina e poi Argentina, Libia, Canada e molti teatri di rilievo internazionale. Direttore artistico di Taormina Arte, Direttore Principale della Nuova Scarlatti di Napoli e dell’orchestra Milano Classica, consigliere per la musica del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e anche scrittrice (il suo ultimo libro è L’ora di musica. Un invito alla bellezza e all’armonia) e chissà se anche lei come Oriana Fallaci vuol essere definita scrittore e non scrittrice. Beatrice Venezi non solo non è una che non le manda a dire ma è anche caparbia, come quando per due volte di fila l’avevano esclusa alla scuola di specializzazione in composizione: poi il Corriere della Sera la inserì fra le 50 donne più creative dell’anno. Libertà (per dire le cose come stanno, come Oriana Fallaci) e coraggio (per voler operare in un ambito lavorativo complessivamente maschile e magari anche un po’ escludente. E comunque niente frac: tacchi) si abbinano in una tempra di ferro: la Venezi non sta china sullo spartito a ingobbirsi sebbene la musica sia il suo amore e il suo lavoro, perché se la mente ha fame anche il corpo chiede energia. Mens sana in corpore sano diceva Giovenale e noi che questo numero di CulturaIdentità lo dedichiamo all’importanza dello sport nella cultura, come potremmo dargli torto? Beatrice Venezi si tiene in forma, polo, boxe, sci, pilates. Perché, citando molto liberamente Enzo Jannacci, non solo “ci vuole orecchio” per dirigere un’orchestra. Del resto anche il Maestro Herbert Von Karajan era uno sportivo, amava la velocità e si era fatto fare una Porsche pronta per la pista, ordinando ai preparatori di tirar via anche l’autoradio: voglio ascoltare solo la musica del motore, così pare avesse detto niente meno che il grande tra i più grandi direttori d’orchestra

Beatrice Venezi, ce l’ha anche Lei una “stranezza” sportiva in apparente controtendenza al suo lavorare nella musica?

Nessuna,. Essendo sempre in giro per il mondo è difficile per me avere una routine in campo sportivo. Però ultimamente mi sono appassionata al pilates, è molto utile per il mio lavoro.

Quando dirige sembra muoversi come una danzatrice: retaggio della sua formazione (danza classica) o scelta precisa?

Sì, è probabile.

Il Suo lavoro consiste anche in uno sforzo fisico: cosa fa per tenersi in forma prima di un concerto?

Spesso non si pensa al lavoro fisico che c’è dietro uno strumento musicale, a maggior ragione se si tratta della direzione d’orchestra:. Alcuni strumenti possono determinare posture condizionanti, come ad esempio il violino, l’arpa, la viola. C’è in generale poca attenzione al corpo, che invece deve essere una macchina perfettamente oliata. Io faccio molto stretching per la parte superiore e dorsale. E poi preparazione fisica con il pilates.

Lei è consigliere per la musica del Ministero della Cultura: che tipo di lavoro c’è da fare sotto il profilo dell’educazione musicale in Italia?

Moltissimo. C’è da scardinare un sistema e ricostruirlo da zero. Occorre sviluppare un’educazione all’ascolto, cosa che non è né banale né scontata: l’ educazione dell’orecchio è fondamentale per capire cosa si sta ascoltando. C’è molto da fare sulle competenze musicali, che la scuola dell’obbligo non trasmette o trasmette poco, perché il più delle volte derivano dalla sensibilità dell’insegnante. Il valore all’ascolto è anche un’educazione civica: suonare in un’orchestra, cantare in un coro, sono azioni che trasmettono un senso di comunità e sviluppano competenze trasversali che afferiscono all’educazione civica, come saper aspettare il proprio turno, rispettare le gerarchie e riconoscere l’importanza del singolo per il risultato collettivo.

Cultura popolare / cultura accademica: due cose distinte o distanti?

Distinte e distanti. Il teatro nasce come forma popolare di intrattenimento di alto livello con messaggi fondanti (Verdi, il Risorgimento), che però abbiamo perso a favore di una visone snob della cultura, come se l’intrattenimento fosse qualcosa di meno “importante”. Il risultato è che i nostri teatri sono mediamente vuoti o frequentati più da teste canute che non dai giovani. Non è solo una questione generazionale, perché questo stato di cose tende ad escludere anche chi già opera nell’ambiente. Una doppia esclusione, quindi: verticale e orizzontale. Io invece credo in una cultura davvero accessibile.

Da direttore d’orchestra, quando sente una canzone pop o rock, La colpiscono le sue eventuali ingenuità/imperfezioni?

Alcuni brani rock sono autentici capolavori, come Stairway to Heaven dei Led Zeppelin. Certo hanno un gradiente di complessità diverso rispetto a Mahler, ma non per questo sono “inferiori”, sono generi e periodi storici diversi, come diverse sono le necessità del pubblico.

Lei dirige coi tacchi: lo fa perché è anche questo un modo per rendere pop la musica còlta?

No. Lo faccio perché mi slanciano! [ride, nd.r.]

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