La più recente polemica riguarda l’attore che sarebbe in predicato per interpretare il professor Severus Piton nella nuova versione HBO della saga di Harry Potter. Dal pallido e grave volto di Alan Rickman, perfettamente adattato alla descrizione fatta nel romanzo dalla Rowlings, a quello di Paapa Essiedu, di origine ghanese ancorché nato a Londra.
E’ questo l’ultimo esempio di “blackwashing”, un gioco di parole fra black – nero – e washing – lavaggio, che rovescia “whitewashing”, sbiancamento o candeggiamento, e consiste nell‘infilare a forza nei cast di serie TV e film attori di colore per interpretare parti di bianchi. Una prassi fortemente difesa dalle grandi case di produzione con la scusa dell'”inclusività“, ma che sta conducendo a disastri nei botteghini: da Biancaneve interpretata da Rachel Zegler a Chani di “Dune” col volto di Zendaya. E se per i personaggi fantastici la scusa è che – per l’appunto – sono fantastici, quindi come si sospende l’incredulità per una sirenetta, la si può sospendere pure se questa è subsahariana anziché “bianca come il latte” (giusta la descrizione di Andersen), più complicato è far andare giù al pubblico i personaggi dei film storici o nei documentari, con sovrani e nobili dell’Inghilterra medievale, legionari e imperatori romani, regine tolemaiche d’Egitto o eroi omerici interpretati da improbabili attori africani o di origine africana.
Di questa mania wokeista che sta snaturando la storia europea, i classici del cinema coi remake “inclusivi” o della letteratura con riduzioni cinematografiche “color-blind”, parla CulturaIdentità nel numero 55 in edicola, in un approfondimento a firma di Stelio Fergola. Qual è la matrice del blackwashing? E dove vuole andare a parare? Scoprilo sul giornale in edicola, oppure abbonati per ricevere comodamente la tua copia a casa, insieme alla versione PDF via email. Clicca sul link qui sotto!