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Sbagliando, ma pensavo che alla fine la crisi si sarebbe ricomposta e che Draghi sarebbe arrivato a fine legislatura. Non quella dell’ennesimo presidente del Consiglio non eletto, ma del Parlamento. La quadra non sembrava impossibile: un governo senza i pentastellati contiani doveva essere nell’ordine naturale delle cose, visto il pregresso. Invece no.
Invece è accaduto che in Senato, ieri, è andato in onda uno dei peggiori spettacoli dell’Italia repubblicana. Un Presidente del Consiglio mai incorso in quell’esercizio un po’ volgare che si chiama campagna elettorale, si presenta nell’ Aula alta a chiedere la fiducia parlamentare perché’, miracola della giostra delle parole, Lui è lì perché glielo hanno chiesto gli italiani. Cioè, Lui non è lì nel rispetto delle forme e delle prerogative parlamentari della nostra democrazia, ma solo perché un minoritario e rumoroso consenso si è espresso nelle forme della democrazia distopica.
Diciamo che ieri può essere considerata la giornata campale del tecno-populismo, forma efferata di una vena italica che dal Partito dell’Uomo Qualunque di Giannini ha sempre trovato forme nuove e contemporanee per manifestarsi, sono appunto a quella tecno populista oggi in voga. Agghiacciante, per quanto mi riguarda.
Facile prevedere che in questa campagna elettorale alcuni equilibri si andranno a ricomporre, ma anche che voleranno più stracci del solito.
A chi si affanna a dire che adesso non sarà possibile fare tutta una serie di cose, consiglio di ripassare qualche norma basica di diritto. Il governo rimane in carica sino all’insediamento del prossimo, la burocrazia, con tutti i suoi mali e acciacchi, continuerà a fare il suo lavoro. Realisticamente non si perderà nulla. Si perderà tutto, invece, se la politica continuerà a non fare la politica e se qualcuno a corto di uomini, idee e anche sogni cercherà rifugio sotto un neonato Partito del Drago. E io, come sempre, starò con San Giorgio.
