Se il politicamente corretto arriva in cucina

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Foto Adrian Scottow cc 2.0 SA by

Bei tempi quando a tavola si “combatteva con la morte” e la massima preoccupazione era imparare quale dei cinque calici sfasati sulla destra o sulla sinistra prendere per bere. Bei tempi quando a tavola si discuteva di pallone o, al massimo, di politica e lo zio missino finiva a litigare col nipote extraparlamentare di sinistra.

Oggi invece a tavola ci si siede con la paura. E no, non crediate che la cosa sia dovuta a problemi di ordine religioso – cucina khosher o halal – alimentare – vegani o crudisti – o semplicemente medici – allergie e intolleranze.

Il problema oggi è nel fatto che una quantità ancora troppo grande di piatti, specialità, etichette è offensivo. Perché c’è sicuramente chi trova insopportabilmente maschilista che una mozzarella venga paragonata a un seno femminile o che delle paste abbiano nomi che incitino alla violenza, come gli strozzapreti.

Ce le racconta il direttore di CulturaIdentità, Edoardo Sylos Labini, nel suo spazio del venerdì a “Binario 2”, su RaiDue. Dove scopriamo che la rinomata cucina italiana, quella che nelle competizioni mondiali è fuori gara e distribuisce con paternalista condiscendenza premi e riconoscimenti al buon secondo classificato che arriva dopo di essa, è piena di cose sessiste, razziste, colonialiste e variamente -fobiche.

Così quella che poteva essere una vacanza enogastronomica rischia di trasformarsi in un corso DEI obbligatorio. Occhio a non offendere il cameriere con un’ordinazione politicamente scorretta. Occhio a fare battute quando vi porteranno una gargantuesca mozzarella di Battipaglia che vi ricorderà scene vintage dalla prima stagione di “Striscia la Notizia” con Sonia Grey.

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