Ventimiglia nel Medioevo divenne sede vescovile e fu la roccaforte dei potenti Conti di Ventimiglia che presiedevano all’amministrazione della giustizia e provvedevano al governo dei singoli paesi del loro vasto territorio (la Contea si estendeva da Monaco all’Armea, sconfinando a nord nell’attuale Cuneese) con l’aiuto di visconti e castellani. Impegnata, nei secoli XII e XIII, a difendere la propria indipendenza dalle mire espansionistiche di Genova e costretta ad arrendersi, nella seconda metà del 1200, fu divisa tra la Repubblica e la Provenza.
Fatta eccezione per le brevi occupazioni degli Angiò, dei Grimaldi, dei Visconti di Milano e dei Savoia, Ventimiglia rimase stabilmente sotto il dominio genovese, venendo unita al Regno di Sardegna, all’indomani del congresso di Vienna. Gli storici non sono mai riusciti, tuttavia, a stabilire con certezza quando e da chi venne istituito il contado, nonché a definire la provenienza dell’illustre stirpe che ne fu investita. Il personaggio più antico, la cui esistenza è confermata da documenti storici, è il conte Guido che, nel 954, al momento di partire per una guerra, dona la chiesa di S. Michele in Ventimiglia e il Castello di Seborga ai monaci di Lerino, ordinando però che nella chiesa si innalzi il suo sepolcro e attiguo ad essa si edifichi un ospedale per gli infermi affetti dal fuoco di S. Antonio. Ottant’anni dopo troviamo fra i suoi discendenti i conti Corrado ed Ottone. Questi, assieme alla madre Adelaide e alle rispettive mogli, Armelline e Donella, continuano nelle loro elargizioni all’Abbazia di Lerino. Cedono, tra l’altro, il monastero di S. Michele e un’isoletta (i Goretti) posta lungo il fiume Roia in vicinanza di alcuni mulini.
Nel secolo successivo emerge in particolar modo la figura del conte Guido Guerra, uno dei più prodi cavalieri alla corte dell’imperatore Barbarossa e da questi spesso destinato ad importanti e delicate ambascerie. Sovente lontano da casa, egli è particolarmente prodigo di libertà verso i consoli ventimigliesi e sempre in ottimi rapporti con i suoi sudditi. Pare che, entro le mura della nostra città, egli si riservasse soltanto il diritto di possedere una abitazione, un forno ed una vigna.

La famiglia genovese dei Grimaldi, fin dal XII secolo, assunse posizioni di prestigio e ricchezza, esercitando la mercatura e svolgendo attività politica e militare. Guelfi convinti, subirono spesso l’esilio. Gli stretti legami che li univano a Carlo d’Angiò determinarono la reazione dei ghibellini che li costrinsero a trasferirsi nella Contea di Ventimiglia. Terminata la signoria dei Lomellino, ebbe così inizio quella dei Grimaldi e da quel momento la loro storia s’intrecciò sempre più strettamente con quella della città. Seppur per breve tempo, poterono dire di aver avuto Ventimiglia di diritto. Di fatto, sedendovi come Governatori dei Duchi di Milano e dei Re di Francia, governarono per circa 70 anni. I membri della Casata dei Grimaldi ebbero modo di distinguersi in ogni tempo. Tutti seppero ben mediare le loro alleanze: a volte con l’intelligenza, a volte con l’inganno, a volte con la forza.
La serie dei Signori di Monaco che tennero il governo della città si chiude nel 1505 con la morte di Giovanni II Grimaldi. Negli anni a seguire il Casato tentò di rientrare in possesso di Ventimiglia, ma le relazioni tra le due città si limitarono alle sole materie ecclesiastiche per via della Signoria di Mentone e Roccabruna, soggette alla Diocesi intemelia. Con il passare del tempo l’albero genealogico si infoltisce per dividersi poi in numerosi rami. Poiché troppi sono i personaggi degni di essere ricordati, ne citiamo alcuni anche se molto succintamente. Enrico I, capostipite dei signori della valle di Oneglia, stabilisce il suo dominio nel distretto di Albenga, grazie ad una permuta stipulata con Raimonda, consorte di Raimondo di Roccabruna (1217).

Oberto, signore di Badalucco, nel 1215 affranca dalla servitù gli uomini di Cipressa e nel 1241 viene ad accordi e concessioni con gli abitanti di Montaldo. In seguito, però, commette alcune imperdonabili sciocchezze; diventa così inviso ai suoi sudditi che, alla morte, i figli Bonifacio e Verana finiscono con il vendere tutti i possedimenti al Comune di Genova ed a nobili famiglie genovesi. Guglielmo Pietro I, signore di Tenda, Briga, St. Agnes e Gorbio, consorte di Eudossia Lascaris, figlia di Teodoro II, imperatore d’Oriente e capostipite dei Ventimiglia Lascaris. Fra i membri della sua numerosa progenie figurano, tra gli altri, Ludovico Lascaris, signore di Briga, prima monaco, quindi sposo di Tiburgia di Boglio, delizioso poeta provenzale e stimato capitano al servizio di Giovanna d’Angiò; l’infelice Beatrice di Tenda, vedova del condottiero Facino Cane e sposa in seconde nozze di Filippo Maria Visconti che la farà ingiustamente decapitare nel 1418, ed infine, l’unica figlia di Giovanni Antonio, ultimo discendente maschio della casata, la contessa Anna, che nel 1598 andrà sposa a Renato Filiberto detto “il gran Bastardo di Savoia”. Enrico II, capostipite dei Ventimiglia di Sicilia, che, militando sotto le insegne di re Manfredi, è da questi investito del contado di Isola Maggiore nel Regno di Napoli e sposa Isabella dei Conti di Gerace.
Il Conte Emanuele che dà origine ai Ventimiglia, signori di Verdière, e fra i cui eredi, meglio conosciuti con il nome di Ventimiglia dei Visconti di Marsiglia, figureranno nei secoli successivi il conte Francesco, stipite dei baroni di Luc (1587); Carlo Gaspare, vescovo di Marsiglia, arcivescovo d’Aix e di Parigi, duca di St. Cloud.