Federica Gentile: “La mia playlist: ecco perché la musica italiana sta bene”

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È una delle massime esperte di musica, voce rassicurante e competente al tempo stesso come pochissime altre, precisa, schietta e puntuale in ogni commento. Federica Gentile, è stata una delle protagoniste assolute della radio, che da qualche mese ha lasciato diventando un punto di riferimento in materia musicale in casa Rai. Su Raidue il sabato pomeriggio ha da qualche mese lanciato un nuovo programma, Playlist, dove racconta i cantanti del momento e i loro album, attraverso interviste e analisi delle classifiche. Praticamente l’hit parade in tv come mancava da troppo tempo, con il linguaggio contemporaneo (e la comicità di Gabriele Vagnato) e uno sguardo a storiche trasmissioni quali Discoring o Top of the Pops. “E’ una sfida che ci sta dando belle soddisfazioni e che speriamo di potere far crescere sempre di più”, ammette Federica, che con passione coinvolge il pubblico in una trasmissione più che mai aggiornata settimana dopo settimana.

Presente per tanti anni anche nella commissione artistica del Festival di Sanremo, anche se non ama fregiarsi di certi meriti Federica Gentile è tra le artefici della rinascita della kermesse e del suo successo. Ha condotto anche l’edizione italiana di Eurovision Song Contest, contribuendo altresì alla riscoperta di una manifestazione che avevamo dimenticato e considerato, esagerando, un mero carrozzone trash. Forse anche per questo è stata scelta nella giuria del San Marino Song Contest che ha decretato la vittoria di Gabry Ponte con Tutta l’Italia.

Con lei, docente di Storia della Radio e della Televisione alla Sapienza di Roma, abbiamo voluto fare il punto della situazione sul momento musicale che stiamo vivendo.

Federica, partiamo dalla vittoria di Gabry Ponte. È giusto che una canzone che esalta l’Italia, raccontandone anche alcuni vizi, partecipi all’Eurovision Song Contest rappresentando San Marino?

Il legame tra la Repubblica di San Marino e l’Italia è strettissimo: parliamo di due culture che viaggiano a braccetto. Trovo bella l’idea che ci sia l’Italia anche all’interno della canzone della di San Marino, perché è la conferma che il brano si sta spargendo ovunque. In fondo l’Eurovision nasce con l’idea di unire i Paesi, non di dividerli: più punti di contatto ci sono, più si rispecchia il motivo originario di questa manifestazione.

Spesso si cantano i brani per musicalità, senza conoscerne di preciso i significati: questa volta c’è il rischio che l’Europa intera canti “Tutta l’Italia”.  

Infatti, lo trovo bellissimo che tutta l’Europa balli sulle note di Gabry Ponte. Sarà un filo che unirà San Marino e Italia per raggiungere tutta l’Europa: da un piccolo enclave si attraversa l’Italia e si conquista un continente.

Il ritorno dell’Italia a Eurovision negli ultimi anni è stato tra le tante cose che ha permesso di ritrovare un focus anche sul Festival di Sanremo.

È così, ma penso sia vero anche viceversa.

Sanremo ormai è cambiato, scoprendo anche generi diversi dal classico “brano sanremese”: la ritrovata popolarità del Festival fa continuare a vivere un certo appeal all’Eurovision o questo resta confinato a un genere musicale che via via tornerà a destare poco interesse come era in passato?

Credo che l’Eurovision avrà sempre più appeal proprio perché proietta su una scala internazionale e contemporanea: è importante selezionare con attenzione i rappresentanti dei vari Paesi, proprio perché raccontano realtà musicali diverse, che altrimenti non conosceremmo. ESC è un contesto dove funziona un certo tipo di musica, spendibile su piano internazionale e grandi numeri: è divertente partecipare a questa gara, che con la sua essenza popolare ci ha permesso di riscoprire il gusto della gara, facendo il tifo per l’uno o per l’altro mentre lo si guarda insieme agli amici da casa. vedendolo insieme agli amici e fare il tifo per l’uno o per l’altro. E poi non dimentichiamoci quello che ESC ha significato, per esempio, per i Maneskin.

Come si sceglie la canzone giusta da portare all’Eurovision?

Ci sono due aspetti da considerare: anzitutto si rappresenta il proprio Paese e poi c’è sempre la speranza di riuscire a imporsi nella graduatoria finale. Analizzati questi aspetti, il cantante decide. Quando partecipi a un contest, non devi scegliere quindi la canzone più bella, ma quella che può funzionare meglio in quel contesto.

L’Italia gareggerà con Lucio Corsi, ma dal punto di vista prettamente musicale chi ci rappresenta maggiormente, lui o Olly?

Difficile dirlo. Sono due realtà di un Paese pieno di mille sfaccettature: tanta musica italiana che piace ai ragazzi, viene additata da molti che dicono che abbia poco a che fare con la tradizione melodica del nostro Paese. In realtà la musica, come ogni espressione culturale, è in continua evoluzione e Olly e Corsi sono entrambi aspetti di un’identità musicale che oggi funziona e ci rappresenta.

In che modo?

Uno è un menestrello che appare più vicino al cantautorato tradizionale, ma che forse lo travalica persino e le maschere lo dimostrano; l’altro abbraccia l’urban e le nuove tendenze ma sempre nel solco di una certa tradizione. Olly è molto legato alla sua terra, basti pensare alla cover di De André che ha portato a Sanremo e al mondo di riferimenti che ha, contaminata con nuove tendenze.

Olly sempre primo nelle Fimi (hit parade) davanti a Giorgia, Achille Lauro e Coma_Cose si alternano nelle classifiche EarOne (canzoni più trasmesse in radio). Ti aspettavi questi risultati?

Più o meno rispecchiano il sentiment: i pezzi forti sono quelli che vanno forti sul mercato, un giorno è più avanti uno, un giorno l’altro, ma non ci sono grandi sorprese. Da quando c’è il televoto, in genere il giudizio del pubblico e la classifica del Festival si equivalgono abbastanza. Un tempo si faceva Sanremo Top dopo tre mesi e si scopriva che nelle vendite il risultato era sempre diverso. Credo dipenda da come si parte subito dopo il Festival: a Tananai, ad esempio, ha portato bene arrivare ultimo, perché partì subito fortissimo.

In che stato di forma è la musica italiana?

Direi buona, lo conferma il pubblico giovane che segue il Festival di Sanremo e il bisogno di rifarsi alla nostra tradizione musicale che non muore mai. L’operazione di Tony Effe di portare stornelli romani non si sta rivelando vincente, ma mi soffermerei più che altro sul fatto che i giovani hanno dimostrato di dovere tanto ai propri maestri: i liguri hanno portato due omaggi a De André, i romani due omaggi a Califano e i napoletani altri due omaggi a Pino Daniele. Trovo sia stato molto significativo: ci si identifica ancora in una precisa storia canora.

La radio ha più di 100 anni, come ti spieghi la popolarità di un mezzo così antico?

È ancora oggi il mezzo più agile che ci sia: fresca, giovane, nell’arco della sua vita la radio è sempre stata in grado di reinventarsi e rilanciarsi, scrivendo i propri codici rimanendo fedele a se stessa.Ha dimostrato una capacità di adattamento al cambiamento e di anticipazione di questo, decretando la propria sopravvivenza: ad oggi è uno dei mezzi più in forma. Per prima ha varcato la soglia della fisicità del mezzo, è stata la prima a rendere il mezzo un contenuto. Mi spiego: la tv ancora oggi esiste come elettrodomestico, mentre la radio si è smaterializzata ormai da anni. Oggi la radio è il suo contenuto, in pochi la ascoltano dal vecchio strumento: è in tutti i mezzi.

Chi sono i tuoi punti di riferimento sin dall’inizio della carriera, che magari inconsapevolmente hai superato?

Non si supereranno mai, perché sono nata e cresciuta coi grandi maestri, inarrivabili. Te ne cito un paio. Mi ha insegnato tanto Corrado Guerzoni, con cui ho lavorato fianco a fianco agli esordi. E poi Renzo Arbore: sono cresciuta con la sua radio e quei programmi sperimentali. Così come Gigi Marziani con Supersonic. Quando ero adolescente, a inizio anni ’80 sognavo di fare programmi come i loro: iniziai in onde medie, quindi passare alla stereo fu il coronamento di quel sogno, che mi consentiva di unire musica e racconto radiofonico.

Tanti generi musicali si sono alternati in questi decenni: c’è qualcosa di cui hai nostalgia, che ancora non è tornato nelle nostre mode?

Le sonorità anni ’80 sono tornate ma non sono ancora esplose completamente. Penso alla new ave, ai primi pezzi di Madonna, a quell’elettronica che i Duran Duran a Sanremo hanno fatto riabbracciare. Come dicevo prima, anche i giovani d’altra parte hanno capito che bisogna guardare al passato per pensare a nuove idee musicali.

La tua città identitaria?

Roma, è la mia città, dove ho le mie radici. È il luogo dove mi riconosco e mi basta un nulla per ritrovare me stessa e la mia identità. Nel corso degli anni, nonostante le tentazioni estere che mi hanno portato a stare diverso tempo negli USA e in giro per il mondo, Roma rimane la mia città identitaria di base a cui faccio sempre riferimento.

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