Pomezia: Antonio Pennacchi protagonista del Festival delle Città Identitarie

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Andrea Chiarucci Studio Clic

Un lungo e commosso omaggio all'”Omero della Bonifica”, Antonio Pennacchi (1950-2021). La seconda serata del X Festival delle Città Identitarie, nella monumentale cornice di Piazza Indipendenza a Pomezia, vede prestigiosi ospiti accanto all’anfitrione Edoardo Sylos Labini, Luciano Lanna, direttore del Centro per il Libro e la Lettura (CEPELL) e Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera.

Un “salotto fra amici”, lo definisce il direttore di CulturaIdentità, introducendo i due ospiti assieme alla musica del maestro Sergio Colicchio e alla voce di Stella Gasparri, che per la durata della soirée leggerà brani tratti da “Shaw 150” di Pennacchi a una platea attenta e coinvolta nella quale siedono anche la moglie di Pennacchi e i suoi discendenti. A parlare di Antonio Pennacchi sono chiamati due esponenti della cultura italiana i cui sforzi in questi mesi sono concentrati a migliorare il rapporto degli italiani con libri e giornali: “la ricchezza di una nazione non si misura solo col PIL ma anche con quanto un popolo legge”, dice Lanna spiegando qual è l’attività e gli scopi del CEPELL. Gli fa eco Mollicone, che ricorda il piano triennale per la lettura voluto dal governo, che prevede anche il rafforzamento della scrittura a mano nelle scuole: un’inversione di tendenza dopo gli ultimi anni di disgraziate “riforme” che hanno privato i bambini nelle scuole del diritto di imparare a scrivere in corsivo, con tutte le possibilità cognitive che questa attività dona alla mente.

E’ proprio il diritto a imparare, a poter piantare solide radici nella propria cultura d’origine che fu la cifra del grande Pennacchi, autore di romanzi e storie su quella provincia italiana che venne “strappata alle zanzare” e trasformata in campagne floride, città incantevoli e che poi il disordinato sviluppo del boom economico ha contribuito a sfregiare. “Pennacchi si era laureato studiando durante i turni di riposo in fabbrica – racconta Lanna – e per tutta la vita ebbe il rammarico di aver preso il diploma da geometra anziché quello di liceo classico. Tante volte mi disse che avrebbe voluto studiare il greco antico“. Una bella lezione ai tanti superficiali del “ma a che servono latino e greco?”. La risposta a questa oziosa domanda è nei romanzi di Pennacchi: “Antonio diceva di dover raccontare le storie che aveva dentro, le storie di chi incontrava” spiega Lanna. “Era una scrittura sofferta, perché Antonio sentiva come sue, e spesso lo erano davvero, tutte le storie che raccontava”. Ma i suoi non sono solo racconti familiari. E’ un grande affresco del ‘900, che sfonda gli steccati ideologici. “Pennacchi ci manca, oggi, perché incarnava quella complessità del XX secolo. Lui diceva sempre che occorre raccontare la storia senza raccontare fesserie“, ricorda Lanna. “Col suo lessico particolare, un vero e proprio lessico Pennacchi – aggiunge Mollicone – Antonio ha mostrato un’Italia in evoluzione, troppo spesso confusa con un’Italia trasformista. Ma era una nazione tutto sommato coerente a se stessa, che ha semplicemente attraversato le diverse fasi della vita del nostro paese. Pennacchi l’ha descritta senza pregiudizi ideologici”.

Già perché Pennacchi, quel “fascio-comunista” partito dal Movimento Sociale, espulso dal partito e approdato ai sindacati di sinistra, per finire fra gli del PCI (sempre un po’ imbarazzati dalla sua inveterata abitudine a dire ciò che pensava senza filtri ideologici), è stato in grado di mettere a frutto tutte queste esperienze: “Quando parlavo con lui – ricorda Lanna – mi colpiva il suo dono di saper evidenziare più ciò che ci univa di ciò che ci divideva. Questa sua dote gli ha permesso di raccontare l’Italia della bonifica, quella fascista, e quella anti del dopoguerra. “Pennacchi era uno che studiava, approfondiva, non aveva preconcetti – dice Sylos Labini – e per questo era un politicamente scorretto“. E politicamente scorretta era tutta la sua narrazione. Incentrata sul paesaggio identitario della sua pianura pontina, quel paesaggio segnato dall’architettura razionalista e poi rovinato dai palazzinari e dal benessere disordinato del dopoguerra.

Lungo il dialogo sul palco attorno all’architettura razionalista, al suo essere a misura d’uomo e d’ambiente. Non a caso, proprio in quel passaggio è chiamata Benedetta de Fabritiis, penna che i lettori di CulturaIdentità conoscono e apprezzano da anni, assieme al sindaco di Pomezia Veronica Felici, per consegnare il Premio Città Sostenibile di ASACERT – partner del Festival delle Città Identitarie – a Federico Mollicone, in riconoscimento degli sforzi per la salvaguardia e la promozione dell’architettura Novecento e dei valori di sostenibilità e di benessere materiale e spirituale che essa incarna. “Non c’è stata nella storia recente d’Italia un esempio di sostenibilità maggiore di quello dell’urbanistica della Bonifica” dice la de Fabritiis consegnando il premio: “La sostenibilità è soprattutto una cultura, anzi è cultura” conclude Benedetta mentre il pubblico riconosce nell’armonica struttura della piazza che fa cornice al palco del Festival tutti i dettagli di una progettazione sapiente e razionale che gli ospiti di questa serata elencano: edifici in mattone pieno, impiego di pietra e materiali locali, strade ampie e alberate, edifici luminosi, belli, comodi. “Se lo fanno all’estero è grande architettura, se lo fanno in Italia è una schifezza”, biasima Lanna, citando i tanti casi di esterofilia di libri d’architettura pronti a celebrare anche modestissimi esempi di razionalismo all’estero e a maledire oltre ogni pudore i capolavori di casa nostra.

Il pubblico apprezza senza riserve: la sensibilità verso i temi trattati da Pennacchi è unanime. L’Italia ha sprecato quella che è stata una grande occasione per progettare e costruire città ed edifici veramente sostenibili, veramente belli, in armonia col paesaggio, con la storia e con l’ecosistema. In barba a cappotti termici e case a “emissioni zero” possiamo e dobbiamo invece sperare di riprendere quel treno e ricostruirci attorno un paese bello in ogni suo angolo, come merita d’essere il nostro.

Foto: Andrea Chiarucci – Studio Clic

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