L’Iliade di Alessio Boni: “La ferocia appartiene all’uomo”

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Alessio Boni dal 25 marzo al 6 aprile torna al Teatro Manzoni di Milano. Due anni dopo il successo di Don Chisciotte, questa volta l’attore bergamasco (di Sarnico, per la precisione) è protagonista di Iliade – Il gioco degli dei, nel duplice ruolo di Zeus e Achille. Il poema omerico (“Qui invito bisogna farsi abbracciare dall’atmosfera favolistica del testo”, dice Boni) parla di un mondo in cui l’etica è solo quella del successo, convinta che non vi sia spazio per la giustizia e la meritocrazia, ma solo per le scelte del fato, che comanderebbe l’umanità in una lunga e terribile guerra senza vincitori né vinti.

Caravaggio, Vespucci, Michelangelo, giusto per citarne qualcuno: il curriculum teatrale di Alessio Boni racconta di una persona profonda e colta, oltre che ironica ed estremamente rispettosa del pubblico. Ce lo ha confermato anche in questa intervista a poche ore dal debutto milanese.

Alessio, ma cos’ha ancora da insegnarci Omero nel 2025?

La vera domanda è: cosa non abbiamo imparato da 2800 anni? Probabilmente non è Omero ad essere attuale, siamo noi che siamo indietro. Nonostante viviamo nella cultura delle sonde, dell’informatica più avanzata, intelligenza artificiale ecc, sono rimaste intatte dentro di noi corde purtroppo legate sempre all’umanità.

Per esempio?

Una di queste è la ferocia: erroneamente la consideriamo troglodita, ma appartiene ancora a noi molto più di quanto non immaginiamo.

Cosa c’è di nuovo in questa Iliade?

Ne ripristiniamo il carattere originario, perché l’Iliade era nata come favola, che raccontava l’eroicità: è arrivato poi un genio, di nome Omero, che l’ha messa su pergamena in lingua greca facendola diventare l’opera che conosciamo. Iliade parla di noi. Spero che chi verrà a teatro si lasci affascinare da questo: lo abbiamo preparato proprio pensando al rinnovamento di queste emozioni nel pubblico.

Si parla di un libero arbitrio ancora inesistente: tutto era comandato dagli dei.

Non è molto diverso da come intendiamo oggi la vita. È sempre molto facile dire attribuire responsabilità al fato: in realtà siamo noi a guidare quel “fato”. Una volta raggiunti i nostri obiettivi, ottenuta la nostra professione che volevamo, ci accomodiamo. Appena però ci toccano la famiglia o comunque qualcosa di nostro si riaccende tutto ed esce fuori la stessa ferocia. Non c’è mai stato un solo anno nella storia che non abbia visto una guerra dell’uomo. 

Come te lo spieghi?

Purtroppo la guerra è affascinante: se è vero che molte persone muoiono e finiscono in povertà, è altrettanto vero che ogni guerra arricchisca qualcun altro.

Per fortuna in Italia è diverso.

Ma non è del tutto vero. Ci lasciano in pace solo perché non abbiamo petrolio, non possediamo qualcosa che interessi altri. Per arrivare a Troia devi passare dallo Stretto dei Dardanelli: ci si doveva spartire dazi. Se Elena fosse stata italiana non sarebbe esistita quella che conosciamo come la guerra di Troia.

È ancora tutto uguale insomma.

Direi di sì. Allora si usciva dalla peste, oggi siamo usciti da lockdown e siamo entrati in più guerre.

Opere e favole come l’Iliade raccontavano grandi battaglie, con vinti e vincitori, buoni o cattivi, ma non indicavano mai la soluzione per evitarle. Ti sei mai dato una risposta?

La soluzione sarebbe alla portata di tutti, ma a quel pensiero non ci arriva mai nessuno. Pensiamo solo al denaro e agli interessi: abbiamo l’ossessione della ricchezza e di avere sempre per forza un nemico. Il progresso dovrebbe riguardare una crescita dell’umanità, a prescindere dalla religione o dalla professione che si svolge: non ci sarebbe bisogno di contrastarsi così tanto per arrivare a quel progresso, ma non ci impegniamo a farlo. Sin da piccoli ci dicono che dobbiamo fare lavori ambiziosi solo per indurci a guadagnare tanto e vederlo come un obiettivo: come possiamo poi dare la colpa a Dio e al fato se le cose non vanno bene? Ecco, negli ultimi cinque anni ci siamo posti proprio la domanda: perché non arriviamo a questa soluzione? Tutto questo è l’Iliade.

In un mondo così c’è ancora spazio per il talento o vincono solo gli interessi?

È proprio quello il punto. C’è spazio per chi ha costanza, ma il talento dovremmo trovarlo nel nostro essere, invece noi ci creiamo entità, che non sono talenti. Facciamo innumerevoli complimenti a chi fa qualcosa, quello è contento degli applausi e si esalta, ma la verità è che sono complimenti al suo Super-Io che si rafforza, all’Io non ci pensiamo mai. Dovremmo ripassare ore e ore di religione, tornare a conoscere: nelle scuole dovrebbero esserci dieci ore di educazione civica alla settimana. Deve tutto cominciare da noi.

Dunque, il Super-Io di Alessio Boni è caratterizzato dall’essere attore di successo, ma l’Io di Alessio è il tuo essere. Se non avessi fatto attore, quale sarebbe potuto essere il tuo mestiere?

Mi sarebbe piaciuto molto studiare psicologia, che per certi versi è molto simile all’essere attore, che deve calarsi nei panni di tanti personaggi diversi. Amo fare domande, conoscere la vita degli altri, scoprire. In alternativa avrei potuto studiare lettere: lo stavo per fare, quando però entrai in accademia cominciai con serietà questa passione e quindi non avrei avuto tempo per pensare all’università.

Il pregio più grande del tuo mestiere? 

Incontro personaggi fuori dal comune, che sono fortunato ad avere conosciuto. Quando hai a che fare con grandi Maestri e col pubblico, sai di andare ben oltre la teoria che puoi respirare quando hai la passione ma ancora non l’hai concretizzata. Uno potrebbe leggere tantissimi libri sulla Cina, ma se non vai in Cina non la conoscerai per davvero. Ecco, fare l’attore mi ha dato il privilegio di conoscere questo straordinario mondo del teatro.

La tua città identitaria?

Mi sento molto italiano, non ho una città in particolare, perché vado da Nord a Sud. Mi piace il mare della Sardegna del sul mare, amo la collina della Val d’Orcia in Toscana, adoro la montagna di Ortisei: in Italia ho visto cose che non vedo da nessuna parte al mondo. Ci sono parti naturalistiche straordinarie: siamo pieni di queste bellissime realtà, ricche di storia. E io ne sono orgoglioso onestamente. 

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