Mazzini e quel sogno della “Giovine Europa”

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«Stati Uniti – liberi e associati – d’Europa»: nel corso delle sue riflessioni culturali, Giuseppe Mazzini scrisse più volte in merito alla speranza che il Vecchio Continente arrivasse all’integrazione delle diverse realtà nazionali sulla scia dell’esempio americano. Questa sua ambizione, meno decisa e articolata rispetto a quella di altri connazionali come Carlo Cattaneo, aveva comunque nell’affermazione e nella salvaguardia delle specificità dei singoli popoli un elemento fondamentale. «Senza Patria siete i bastardi dell’umanità», ripeteva il patriota genovese, convinto che la Nazione fosse il tramite indispensabile tra l’individuo e l’umanità stessa. L’Europa futura, dunque, avrebbe dovuto essere «dei popoli»: solo quando le Nazioni si sarebbero liberate dalla tirannia e avessero conquistato indipendenza, democrazia, pace e progresso sociale avrebbero potuto integrarsi nel segno di una comune coscienza e civiltà europea.

L’intransigenza della predicazione mazziniana attirò l’attenzione (e le persecuzioni) di larga parte delle classi dirigente continentali e allo stesso tempo di molti giovani rivoluzionari e repubblicani che si battevano contro lo status quo. Proprio su queste basi, sulla scia della Giovine Italia, nell’aprile del 1834 vide la luce la Giovine Europa, sorta a Berna da un «Atto di fratellanza» siglato dai rappresentanti della Giovine Germania e della Giovine Polonia insieme ovviamente alla già menzionata Giovine Italia. Nello specifico, si trattava di Mazzini e di altri 16 «esiliati politici» delle suddette nazioni.

Segreta in quanto ai nomi degli affiliati, ma pubblica come programma, la Giovine Europa aveva il suo collante principale nell’idea della lotta all’assolutismo per la libertà dei popoli. Costituita quale federazione di associazioni nazionali, si arricchì presto di nuovi membri quali la Giovine Francia, la Giovine Svizzera (fondata dallo stesso Mazzini) e la Giovine Spagna, tutte e tre di scarsa fortuna. Nel 1836, in seguito al bando di Mazzini dalla Svizzera, la federazione si sciolse, anche se il pensatore genovese non abbandonò mai gli ideali, strettamente collegati, di associazione ed unità europea, fondando nel 1850 un Comitato democratico europeo e scrivendone spesso fino all’ultimo dei suoi giorni. Interessante in proposito un testo del 1835, intitolato «Dell’iniziativa rivoluzionaria in Europa» (1835), in cui la Rivoluzione francese veniva apprezzata ma allo stesso tempo criticata per alcuni suoi limiti evidenti, tra cui l’essere stata una «rivoluzione borghese» che attendeva di essere «completata» coinvolgendo concretamente il lavoro e le masse nel processo politico e democratico. Un punto di partenza e non di arrivo del cammino dei popoli. I principi dell’89, per di più, rimanevano secondo Mazzini troppo spesso sulla carta creando distorsioni beffarde nel tessuto sociale delle Nazioni: «Per ogni dove in Europa, dacché l’eguaglianza accettata in diritto è smentita dal fatto e l’insieme delle ricchezze sociali s’accumula nelle mani d’un piccolo numero d’uomini, mentre la moltitudine non ha da un assiduo lavoro se non la pura esistenza, impiantar libertà, libertà sola, dicendo agli uomini: eccovi emancipati; voi avete diritti; usatene, torna davvero in sanguinosa ironia e perpetua l’ineguaglianza».

L’Italia in Europa

Nel quadro europeo, il ruolo e il prestigio italiano occuparono sempre nella visione di Mazzini un posto centrale. Con l’enfasi e il linguaggio che lo caratterizzava, scrisse: «a voi uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi la Patria meglio definita d’Europa» e cioè «da un lato, i più alti monti d’Europa, l’Alpi; dall’altro, il Mare, l’immenso Mare». Gli italiani avrebbero dovuto «tendere con tutti gli sforzi» al potenziamento del loro meraviglioso territorio, indispensabile per una vita degna di questo nome, per trovare un’identità comune e un posto in Europa e nel mondo: «Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né battesimo di fratelli tra popoli. Soldati senza bandiera, israeliti delle nazioni, voi non otterrete fede né protezione: non avrete mallevadori. Non v’illudete a compiere, se prima non conquistate una Patria, la vostra emancipazione da una ingiusta condizione sociale; dove non è Patria, non è Patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo l’egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba, dacché non v’è tutela comune a propria tutela. Non vi seduca l’idea di migliorare, senza scogliere prima la questione nazionale, le vostre condizioni materiali: non potete riuscirci. Le vostre associazioni industriali, le consorterie di mutuo soccorso son buone come opera educatrice, come fatto economico: rimarranno sterili finché non abbiate un’Italia».

La storia e la civiltà italiana erano per Mazzini qualcosa di unico, come scrisse riferendosi al nostro popolo: «L’Europa era, dalla vostra sorella, la Grecia, infuori, semi-barbara, quando le vostre aquile passeggiarono di trionfo in trionfo sovr’essa e insegnaste ai popoli conquistati una speranza di leggi che dura tuttavia riverita, i conforti della vita civile, e quella tendenza all’Unità che preparò un mondo a Gesù. L’Europa giaceva ravvolta fra la tenebra del servaggio feudale, quando voi, sorti a seconda vita, affermaste nei vostri Comuni la libertà repubblicana dell’uomo e del cittadino e diffondeste alle più lontane contrade i benefici della civiltà, delle lettere, del commercio».

Le idee di «fede» e «missione», le ragioni ideali avrebbero dovuto essere i perni di qualsiasi costruzione politica, al di là di visioni meramente economiche, contrattualiste e meccaniciste. In questo senso possiamo riportare l’interpretazione di Mazzini fatta da Gentile ne «I profeti del Risorgimento»: «Non la forza, che è un fatto, ma soltanto l’idea, il principio può esprimere dal seno dell’umanità organizzata liberamente la forma della sua vita pacifica. Il federalismo, egli soleva dire, è un fatto, non è un principio politico. E questo convincimento profondo della impossibilità di realizzare a un tratto, colla forza, l’ideale della giustizia era in lui il motivo reale della sua avversione al pacifismo; perché egli sapeva che lo Stato non è un contratto, come credeva Rousseau e come crederanno sempre gl’individualisti che sperano da convenzioni e risoluzioni astratte forme ideali di società. “Non è per forza di convenzioni o d’altro, ma per necessità derivata dalla nostra natura (scriveva egli nel ‘71 contro lo spirito individualistico) che si fondano e crescono le Società”. Egli perciò avrebbe riso dell’assurda pretesa di far nascere una società — e sia pure quella delle nazioni — da una conferenza di uomini di Stato».

La spinta ideale mazziniana ispirò uomini e associazioni delle più diverse estrazioni culturali, dai fratelli Rosselli al Partito Repubblicano di Pacciardi passando per la destra sociale di pensatori come Giano Accame e Gaetano Rasi. Ad oggi, quello che sembra chiaro, però, è che la visione anti-individualista di Mazzini, improntata alla religiosità e all’etica del dovere, risulta molto lontana dalle premesse dell’attuale Unione Europea e del mondo progressista. L’idea di integrazione del genovese riservava un posto fondamentale al ruolo dei Popoli, all’amor di Patria, alla spiritualità e alla valorizzazione della civiltà italiana, elementi sempre più sfumati nella società dello spettacolo, della cancel culture e della «cultura del piagnisteo». Ecco che riprendere in mano il patrimonio mazziniano di pensiero e azione dovrebbe essere una delle strade obbligate per l’Italia e l’Europa sempre più a rischio di un declino irreversibile.

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