Giosuè Carducci – nel 1883 – così menziona Adalasia:
“La quarta generazione ebbe un Manfredo, la cui figliuola Adelaide impalmata a Ruggero I conte || di Sicilia fu madre dei re normanni e ava a Costanza madre di Federico II, e il figliuolo Enrico passato nell’isola a combattere le guerre del cognato fu nel 1114 conte di Butera e Paternò…”.
Esauritasi con la morte del marito, Rogerius d’Hauteville conte di Calabria e Sicilia (+ Mileto, 22 giugno 1101), ogni speranza di sottoporre ad un rigido vincolo feudale i riottosi baroni normanni in territorio di Calabria, Adalasia, sollecitamente rifugia sé stessa e soprattutto i due figli minori in Sicilia nel grembo di forti truppe sicule maggiormente fedeli.
Dato il pericolo: Rogerius muore s’è detto a fine giugno – Adalasia già nell’ottobre è a San Marco, piccola località del nord-est della Sicilia. Feudo proprio e personale; attinente all’insieme dei beni che le erano stati assegnati in dote (morgengabe) dal marito all’atto delle nozze.
Esistono almeno tre donazioni, effettuate da Adalasia in tal periodo e luogo. Come giustamente rileva Caspar, vi è molto da meravigliarsi che un potere sì grande – l’eredità politico territoriale di Rogerius comite di Calabria e Sicilia – non sia imploso tutto, subito dopo la morte del conte; necessita fare mente alla mentalità ed alla considerazione verso la donna nel periodo medioevale, per capire. Una vedova, poi, con due figli minori tenutari dei diritti naturali alla successione paterna era un immediato bersaglio.
La Calabria dei grandi feudatari baroni normanni, frantumandosi insorse. Contro Adalasia. E contro i due figli, orfani, di Rogerius.
Li animava la pulsione anarcoide ribellistica disgregatrice delle Puglie. Che non riuscirono ad avere una stabilità politica con i successori di Robert le Guiscard; già dux Northmannorum.
La secessione si estese rapidamente ad alcuni territori della Sicilia.
Adalasia agì. E certo con truppe fortemente organizzate molto risolutamente agì. Spietatamente. Al punto che a parecchi anni di distanza, in un documento del 1141 – una supplica al re Ruggero II, quegli avvenimenti così venivano ricordati:
” E dopo pochi anni, il beato e sacro Signore, tuo padre, raggiunse la fine della sua vita e morì e la sovranità passò alla sacra Signora, tua madre Adelasia. (…)
Allora c’era in tutta la Calabria e la Sicilia grande spargimento di sangue, ma la sacra Signora, tua madre, schiacciò i nemici come vasi di terracotta”.
Ma era ormai conclusa la sua opera.
E orgogliosamente da madre lo dichiara in una liberatoria attestazione che il figlio è ormai entrato nella maggiore età; e nel cavalierato:
“Ego Adelais comitissa et Rogerius filius meus Dei gratia iam miles iam comes Siciliae et Calabriae Panormi morantes et in thalamo superioris castri cum Gualtiero praefatae urbis archiepiscopo et cum multis tam clericorum quam baronum quam militum residentes”.
E’ tempo. E’ per lei tempo di ritirarsi. Ma non sceglie la via del claustro. Contrariamente all’uso.
La via del potere e sommo potere personale, sceglie. Ancora. E con l’avventura di Gerusalemme per la terza volta ancora. E unica clausola ad un matrimonio, proprio, con Baldovino, pone. In cambio dei suoi tesori immensi pone.
Clausola che in tutto e per tutto compiutamente disvela di certo non fu un matrimonio non minutamente meditato.
Ove infertile l’unione, la corona di Gerusalemme dovesse passare al figlio Ruggero. Condizione non certo da poco. Ma la fama dei favolosi tesori di Adalasia è troppa. Baldovino ne ha un disperato bisogno. Accetta.
E come nuova Cleopatra, Ella salpa.
“Ella aveva con sé due triremi, su ognuno dei quali erano imbarcati cinquecento guerrieri, e sette navi cariche d’oro, di argento, di porpora e di grandi quantità di pietre preziose e vesti magnifiche, per non parlare di armi, corazze, spade, elmi, scudi fiammeggianti d’oro e tutti gli altri equipaggiamenti guerreschi simili a quelli impiegati dai principi più potenti per i servizi e la difesa delle loro navi.
Il vascello sul quale la gran dama aveva eletto di viaggiare era ornato di un albero maestro ricoperto con lamina d’oro purissimo, che sfolgorava da lontano alla luce del sole; e la prua e la poppa di questo vascello, similmente ricoperte d’oro e lavorate da artigiani abilissimi, erano meravigliose a vedersi.
Su una delle sette navi si trovava una compagnia di arcieri saraceni, uomini robusti che indossavano magnifiche vesti di gran prezzo, tutti destinati in regalo al re – tali uomini non avevano rivali in tutte le terre di Gerusalemme”.
Bibliografia
1883. Giosuè Carducci, Gli Aleramici (Leggenda e Storia), (in: “Nuova Antologia“, 1° dicembre 1883, op. cit. pp. 25-26.
1971. John Julius Norwich, I Normanni del Sud (1016-1130), 1971, Milano, Mursia, vol. I, pp. 318-9. – Per la traduzione del resoconto di Alberto di Aix.
1999. Erich Caspar, Ruggero II e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia. Con un saggio introduttivo di Ortensio Zecchino, 1999, Roma-Bari, Laterza, cap. I. – Per gli aspetti generali e inerenti regesti e documenti