Legge di Bilancio: dal Governo Conte centinaia di migliaia di euro per celebrare il Partito Comunista

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Centinaia di migliaia di euro in due anni. A tanto potrebbero ammontare i fondi stanziati, grazie a un emendamento presentato da LeU, nella Legge di Bilancio approvata ieri in Senato per l’organizzazione e lo svolgimento di iniziative previste per il centenario del Partito Comunista Italiano, che fu fondato a Livorno il 21 gennaio del 1921. A prevederlo è l’articolo 1, comma 405, il quale afferma testualmente che “in occasione del centenario del Partito Comunista Italiano, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri (…) sono assegnate, per gli anni 2020 e 2021 (…) risorse finalizzate alla promozione di iniziative culturali e celebrative connesse a tale ricorrenza”. E dire che, in Italia, i movimenti storici ancora attivi sono moltissimi: basti qui citare il Partito Repubblicano, il Partito Liberale, il Partito Socialista o l’Unione Monarchica. Eppure il PCI sarà, con ogni probabilità, l’unico a godere di uno stanziamento così sontuoso di fondi pubblici per celebrare il proprio passato…

“Dal dopoguerra – è il commento del fondatore di CulturaIdentità, Edoardo Sylos Labini – come da indicazione gramsciana il PCI e poi i suoi eredi hanno occupato militarmente un settore fondamentale come la cultura. E, così, nel corso dei decenni molti artisti hanno militato in quel partito per poter avere importanti posizionamenti lavorativi.  Il fondo destinato alle celebrazioni del Partito Comunista dal ministro Franceschini in questa ultima legge di Bilancio non è altro che il proseguimento di questa occupazione e strumentalizzazione politica dei settori della cultura e dello spettacolo. E’ ora di liberare nuove energie e di levare il cappello di sinistra a teatri, fondazioni, reti televisive, festival e, più in generale, a tutto quanto sia produzione culturale nel nostro Paese”.

Quanto accaduto in Parlamento non è infatti che la plastica rappresentazione di quell’istituzionalizzazione della cultura di sinistra che è parte integrante dello scenario italiano dal 1945 in poi. L’egemonia culturale che Antonio Gramsci, egli stesso tra i fondatori del PCI, auspicava si è realizzata nei decenni in maniera via via più pervasiva. E anche se oggi, tra le fila della sinistra politica, della “lotta di classe” e dei principi solidaristici del comunismo originario rimane ben poco, dato che questi sono ormai stati pienamente sostituiti da un politically correct liberal-anglofono e vagamente isterico, i metodi sono rimasti i medesimi. E, a scandalizzarsi, sono ormai in pochi, pochissimi. Perché l’idea di un “primato morale” della cultura di sinistra ha ormai fatto breccia nel sistema politico-istituzionale e non solo.

Lo ha fatto tramite la cooptazione di artisti, direttori artistici, direttori editoriali, giornalisti che, per decenni, hanno esposto messaggi a senso unico. Del resto già Edoardo Bennato, da sinistra, criticava, già nel lontano 1980, con la sua “Sono solo canzonette“, l’omologazione e il servilismo di molti operatori culturali. “Gli impresari di partito mi hanno fatto un altro invito e hanno detto che finisce male se non vado pure io al raduno generale della grande festa nazionale. Hanno detto che non posso rifiutarmi proprio adesso, che anche a loro devo il mio successo…“, spiegava, con amara e autobiografica ironia, il cantautore napoletano.

E, a proposito di “canzonette”, dopo oltre settant’anni sarebbe anche ora di ascoltare una musica diversa dalla solita. Sì, proprio lei: “Bandiera rossa“…