Marcello Veneziani, La caccia alle streghe ha creato l’egemonia “odiologica”

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Marcello Veneziani, 64 anni, uomo del Sud, fieramente meridionale, è una delle icone della cultura di destra in Italia: attraverso riviste, articoli e decine di libri su temi filosofici e letterari, ha contribuito a indicare per decenni la via a un moderno pensiero incardinato nel solco della tradizione della rivoluzione conservatrice europea, ma al tempo stesso orgoglioso della specificità italiana, senza provincialismi e senza complessi d’inferiorità rispetto all’intellighenzia di sinistra. E’ tornato da alcune settimane in libreria con un nuovo saggio Nostalgia degli déi, edito da Marsilio.

Cosa si intende nel XXI secolo per “nostalgia degli dei”?

E’ la nostalgia per tutto ciò che è intramontabile. L’uomo occidentale avverte un senso di precarietà, di essere parte di una civiltà, come diceva Oswald Spengler, sulla via del Tramonto. La nostalgia di cui parlo, quindi, è nostalgia di punti fermi, di certezze a cui ancorare l’esistenza. Ho usato la metafora degli Dèi perché è la più efficace per descrivere la tensione verso ciò che è eterno. Non descrivo un rimpianto sentimentalistico: la nostalgia di cui parlo è quella dell’origine, del principio, dei fondamenti… In questo senso filosofico è nostalgia dell’avvenire.

Gli “dèi” di cui parla sono le dieci parole chiave del libro, giusto?

Sì, sono le stelle polari che possono guidare gli uomini nella loro vita: Civiltà, Patria, Famiglia, Comunità, Tradizione, Mito, Destino, Anima, Dio, Ritorno. Sono idee che conducono oltre la caducità dell’esistenza e che insieme compongono una Weltanschauung. Sono una filiera: permangono o crollano tutte insieme.

Sono a rischio?

Da tempo, ma oggi sono davvero messe a dura prova. Pur essendo principi intramontabili di cui abbiamo disperato bisogno in quanto esseri umani, vengono sistematicamente messe in discussione.

Eppure, secondo molti analisti, in questa fase storica la Destra (nella sua variante esplosa in questi anni, il cosiddetto sovranismo) è culturalmente egemone in Italia e in Europa. Non è così?

Sono idee vincenti, perché rispondono a bisogni reali…

…tuttavia, a livello di apparato culturale, la sinistra continua ad occupare tutte le posizioni chiave…

Potremmo dire che la Destra rappresenta oggi il comune sentire che si scontra con il comune pensare. Il comune sentire è il prodotto dell’esperienza vissuta che ognuno di noi fa quotidianamente, mentre il comune pensare è nelle mani di una casta che detiene il controllo delle fabbriche dell’opinione. La situazione non è affatto nuova, ma oramai la divaricazione ha assunto proporzioni clamorose.

Negli ultimi mesi sulla libertà di espressione il clima è tornato a farsi pesante, come dimostrano la vicenda del Salone del Libro di Torino ed altri episodi analoghi. Dobbiamo aspettarci una caccia alle streghe nel prossimo futuro?

Io credo che questa caccia alle streghe sia già in atto e che proseguirà sempre più violenta. Siamo tornati a una cupa intolleranza, come non si vedeva da decenni. Non era così negli anni ’80: in quel periodo si assisteva a un dialogo proficuo, con reciproco riconoscimento tra intellettuali di Destra e di Sinistra. Il bipolarismo che ha caratterizzato la Seconda Repubblica ha modificato le cose, anche a causa del viscerale antiberlusconismo coltivato da una parte della Sinistra, sempre più esasperato nell’odio nei confronti dell’avversario, al punto che negli ultimi anni si è pervenuti a una sorta di egemonia “odiologica”, che controlla il sistema mainstream.

Veniamo alla politica: come giudica l’azione messa in campo dal cosiddetto “governo del cambiamento”?

Su questo governo personalmente ho un giudizio schizofrenico: giudico positivamente le iniziative di Salvini, ma aborro convintamente quelle dei grillini. La cosa migliore sarebbe cercare una maggioranza più omogenea, un centrodestra classico. Il timore, però, è che togliendo la spina all’attuale governo non si riesca ad andare ad elezioni, ma si determini un pericoloso interregno gestito da tecnici che duri il tempo sufficiente a sgonfiare il consenso dei partiti sovranisti. E’ questa la ragione, io credo, per la quale Salvini preferisce non tentare avventure, più che la diffidenza che talvolta ostenta verso Berlusconi.

E l’Europa? Secondo lei il progetto europeo può essere rilanciato? E’ possibile un’Europa sovrana?

Sul piano dei principi non solo è possibile, ma necessario. Da tempo ritengo che occorra costruire un sovranismo europeo che si misuri politicamente con quanto accade all’esterno del continente: dalla regolamentazione del commercio internazionale, al fenomeno migratorio, dai rapporti con l’Islam alla costruzione di un sistema di Difesa europeo e così via. Ma temo non ci siano le condizioni per farlo e non ci sarebbero state neanche anche se i sovranisti avessero ottenuto un successo più ampio.

Torniamo alla cultura: in tutte le sue forme essa ha sempre avuto bisogno di mecenati. Da un secolo e mezzo questo ruolo, in Occidente, è stato svolto principalmente dallo Stato, ma oramai le risorse sono sempre più scarse, specie in Italia. E’ possibile dare vita a un nuovo modello che metta insieme pubblico e privato?

Purtroppo il problema è la mentalità. Se la cultura continua a essere considerata da taluni un’inutile escrescenza della società, intesa come effimera interpretazione della realtà, è difficile trovare nuovi mecenati. Forse bisognerebbe puntare sugli enti locali, purchè essi siano in grado di coordinare efficacemente gli imprenditori del territorio, sulla base di un sano principio di sussidiarietà.

Se dovesse indicare dei nuovi punti di riferimento culturali contemporanei per l’area di destra?

Per il passato, mi sento di poter rimandare a un mio saggio di qualche anno fa Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti, con ampi riferimenti a Marinetti e al Futurismo che celebriamo nel Festival di CulturaIdentità di La Spezia. Tra i contemporanei, trovo molto interessanti Fabrice Hdjadj, scrittore francese di origini ebraico-tunisine convertitosi al cattolicesimo, il matematico e filosofo transalpino Olivier Rey e il russo Alexander Dugin, sebbene non abbiano ancora conquistato il rango di maestri. Aspetto ora un autore nato nel Duemila.