“Quel geniale guerrafondaio di mio nonno FT Marinetti”

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FT Marinetti con la moglie Benedetta e le figlie Vittoria, Ala e Luce (cortesia dell'autrice)

La nipote del fondatore del Futurismo ci racconta il geniale FT Marinetti, a 80 anni dalla sua scomparsa, il 2 dicembre 1944

Cosa ci ha lasciato Marinetti padre di un’avanguardia così roboante da farsi sentire in ogni angolo del globo? Personalmente potrei rispondere di aver raccolto il testimone del gusto per l’arte, soprattutto dei giovani. Oppure l’orgoglio di un’eredità, che mille e mille volte ho captato, ancor prima di capirne il senso, nello sguardo caldoelettrico di mia madre Luce.

Riducendo tutto all’essenziale, fuori da ogni abito critico-intellettuale, so bene cosa ci ha lasciato e gli sono riconoscente.

C’è un momento della vita in cui si sceglie se essere se stessi oppure quello che gli altri si aspettano da te. Marinetti con la sua provocazione, i suoi eccessi, l’amore sfrenato per il nuovo che avanza, audace e scomodo, ci ha trasmesso quanto valga la pena di scegliere di esistere in posizione reattiva. E che non c’è una regola valida per tutti e per sempre, perché la vita evolve e si trasforma ogni istante. Una lezione che ha lasciato a me e che condivido con tutti coloro che lo hanno saputo ascoltare. Mio nonno, infatti, mi ha assicurato molti amici, perché tra Futuristi scorre un sangue bizzarro che si rinnova di generazione in generazione, e non in linea genetica.

Marinetti era un meraviglioso ottimista! Quando scriveva «Guerra sola igiene del mondo» certo non immaginava quanti indici puntati contro aveva la storia in serbo per lui. O forse lo sapeva, ma viveva pensando che lo sguardo di chi vede oltre, va molto oltre.

Enzo Benedetto, artista tra i più giovani dei suoi seguaci, ha paragonato il Futurismo a un riccio di mare, bello a distanza ma che ovunque lo si voglia prendere punge. Questo per spiegare l’idea di un centro-motore d’iniziative mai comodo. Lo si può esaminare in ogni aspetto – arti visive teatro moda politica poesia architettura cinema o innumerevoli altri aspetti – ma non si può trascurare quello che è l’idea-fulcro. Sempre pungente e tutt’oggi vitale. Ed è ciò che ancora ci parla. Un approccio alla vita.

Marinetti compie la sua rivoluzione avanguardista a partire dalla letteratura. Smantella la sintassi introducendo verbi all’infinito, eliminando una serie di suppellettili come aggettivi, avverbi, congiunzioni, persino la punteggiatura che andrà sostituita con segni matematici e grafici che daranno ritmo e profondità. L’impatto visivo della nuova poesia sollecita le nostre menti in direzione della sinestesia. Ci allena alla diversità di prospettive e alla moltiplicazione dei sensi. La prima opera che trasferisce sul piano creativo tali presupposti fondamentali della modernità è «Zang Tumb Tumb», un poema di guerra ispirato all’assedio di Adrianopoli durante la Prima guerra balcanica (1912-‘13).

Per sperimentare nuovi sentieri di creatività, Marinetti demolisce le impalcature dei canoni accademici. Un metodo che ha illustri antenati, come Francis Bacon, secondo cui la nuova scienza doveva necessariamente sostituire quella aristotelica in due fasi: la pars destruens in cui si mettono a fuoco errori e pregiudizi, e la pars costruens, dopo aver emendato la mente da false convinzioni, che si basa sulla sperimentazione; oppure ancora Galilei, che dichiarava che per il progresso delle intuizioni scientifiche non è tanto importante l’osservazione dei fenomeni naturali quanto il saper aggiornare il metodo di sperimentazione attraverso l’intuizione.

Alla prolissità e verosimiglianza di certa letteratura Marinetti contrappone sintesi, velocità e imprevedibilità. E i risultati vanno a loro volta visti e giudicati privi di attese preconcette. Ad esempio, non importa che le sintesi teatrali abbiano prodotto dei capolavori quanto che abbiano creato connessioni tali da aprire la via al teatro dell’assurdo e del grottesco (Chiarelli, Pirandello, Jonesco, Beckett), o alla rivoluzione dello spazio scenico, moltiplicato e connesso con il pubblico.

Questo per dire che il dito puntato contro la violenza di questo movimento è la rinuncia a raccoglierne il senso, a non riconoscerne l’imprescindibile confronto che è stato per l’arte del secondo Novecento, la presa di coscienza del cambiamento dei tempi. E poiché i tempi non smettono di cambiare, si può decidere se essere nostalgici o futuristi. Se decidere di farsi annichilire dai linguaggi emergenti, dalle innovazioni tecnologiche, dalle esigenze mordenti delle nuove generazioni, oppure scegliere di vincere la diffidenza per trasformarla in azione recettiva e propositiva.

Uscire dalla chiusa di una cultura stantia esige un moto rivoluzionario. Mio nonno ha saputo interpretare quest’istanza circondandosi di anime geniali e combattive. È stato uno scrollarsi dal sonno di menti curve a rimasticare le virgole, incapaci di reimmettere nel fiume vivo della creatività la testimonianza dei grandi artisti che hanno tracciato il cammino della cultura. Tale era il significato di bruciare le biblioteche o i musei. Ciò che occorreva bruciare era l’impianto polveroso e burocratico, la gabbia mentale, la finta sicurezza di una campana di vetro.

L’equazione per cui Arte = Vita è un’idea semplice ma esplosiva, che coinvolge a 360° ogni campo di attività, alla base della propensione sperimentale futurista. Ed è profondamente connessa alla consapevolezza che poiché sarà il nuovo a vincere sul vecchio, il nuovo che avanza va vissuto, accolto, e possibilmente amato ancor prima che arrivi, come accade con un bimbo in gestazione. È osare un dialogo con l’avvenire piuttosto che chiudersi a difesa in circoli chiusi. Ed è soprattutto un atto di coraggiosa democrazia intellettuale.

Il salotto borghese, le accademie, gli intellettuali benpensanti, tutti così arroccati nelle proprie barricate di convinzioni e sdegno, non si sarebbero mai smossi se non con l’irruenza di un boato, uno stravolgimento, un riposizionamento dei valori e di un’apertura.

Questa è la «Guerra sola igiene del mondo» futurista.

Il 2 dicembre 2024 cade l’ottantesimo dalla morte di mio nonno. È giusto celebrare questa ricorrenza ricordando che l’idea di morte-rinascita è motrice di tutto il pensiero marinettiano, a partire dall’allegoria della corsa in automobile terminata nel bagno di fango nel fossato da cui il poeta esce rigenerato. Un tema antico da lui estremizzato nella volontà di sondare, con provocatori scardinamenti dei codici, le potenzialità sottese della modernità, perché «nella carne dell’uomo dormono delle ali».

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