«Se siamo qui ancora una volta, per questo crimine infame, questo duplice stupro e dopo Fortuna Loffredo, dopo Antonio Giglio, significa che al Parco Verde si è consumato un fallimento nonostante sforzi siano stati fatti». È così che, la scorsa estate, al Parco Verde di Caivano, provincia di Napoli, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha espresso la sua solidarietà alla comunità a seguito della violenza sessuale sulle due cuginette, di 10 e 12 anni. «Il messaggio più serio che daremo è partire da questo territorio. E questa zona da problema deve diventare un esempio con la collaborazione di tutti i territori», ha proseguito. Il Parco Verde di Caivano, infatti, è noto per il suo stato di abbandono segnato non solo dai casi di criminalità organizzata ma anche di degrado morale, dove la disumanità, soprattutto verso i più fragili, sembra non avere limiti.
Sono infatti passati 10 anni da quel maledetto giugno 2014, in cui la piccola Fortuna Loffredo, vittima di abusi sessuali, veniva uccisa, precipitata dal terrazzo della palazzina dove viveva. Ora, lentamente, grazie all’azione di uomini di buona volontà come il parroco don Patriciello e dello Stato, che con il governo Meloni s’è fatto un punto d’onore intervenire in quella piaga, lo Stato sta riprendendo terreno contro il degrado.
E’ una battaglia lenta, che deve fare i conti con una barbarie incancrenita, causata dall’abbandono dello Stato nei decenni precedenti. Qui l’orrore ha raggiunto vette indicibili. Proprio come si può riscontrare dagli esiti dell’autopsia sulla piccola Fortuna Loffredo. Infatti, alla quarta udienza del processo sulla morte di Chicca, nell’aula 116 del Tribunale di Napoli, sono emersi dettagli macabri dalla testimonianza di Giuseppe Saggese, il ginecologo che prese parte all’esame autoptico collegiale sul corpo della bambina.
Nella sua deposizione il perito aveva affrontato diversi aspetti delicati, facendo riferimento all’esame dell’apparato anale della bimba, dove era stato rilevato “un traumatismo segno di un abuso cronico”. Aggiungendo: “È bastato poco per capire che si trattava di abusi reiterati nel tempo”. Non si trattava di violenze avvenute nelle ultime 24 ore di vita di Fortuna, ma che andavano avanti da almeno un anno. Alla fine, i traumi si sono rilevati talmente gravi che per classificarli “non è stato necessario ricorrere ai protocolli elaborati dalle università che solitamente usiamo. Si vedeva a occhio nudo”. Di fatto “per le violenze subite, Fortuna soffriva di incontinenza fecale”.
Una bambina di soli sei anni, violentata ripetutamente e poi scaraventata dall’ottavo piano per essersi opposta all’ ennesima violenza sessuale per mano del suo carnefice Raimondo Caputo. Un orrore consumatosi il 24 giugno 2014, a circa un anno di distanza dalla morte di Antonio Giglio, figlio di Marianna Fabozzi, compagna di Caputo. Il piccolo, di soli 4 anni, è morto il 28 aprile 2013 precipitando dalla finestra dello stesso palazzo da cui fu scaraventata la piccola Fortuna.
Mentre per quest’ultima i due sono stati condannati in via definitiva: ergastolo per Caputo e dieci anni per la Fabozzi, la morte del piccolo Antonio continua a non avere colpevoli. Infatti, la seconda Corte di Assise di Napoli ha assolto, per non avere commesso il fatto, la madre del piccolo Antonio, accusata di omicidio volontario e il compagno della donna, accusato di favoreggiamento.
Ma la lista delle piccole vittime purtroppo non si arresta. Infatti, sono almeno sei i casi accertati di pedofilia tra il 2014 e il 2018 al Parco Verde. L’ex procuratore capo di Napoli Nord, Francesco Greco, in commissione antimafia aveva definito il Parco Verde “un’enclave della criminalità” che coinvolgeva “bambine private della loro infanzia e già sessualizzata in giovane età” sottolineando “l’interesse dei clan di camorra a mantenere il quartiere del Parco Verde nell’assoluto degrado urbanistico e ambientale”.
Ma com’è cambiata la situazione a distanza di dieci anni da questi crimini efferati che hanno stroncato vite prima ancora di essere vissute, privandole della loro infanzia? La risposta è data dalla radicale trasformazione del luogo simbolo del decadimento urbano e sociale: l’ex sporting club Delphinia. Una struttura costruita nel 1980 per accogliere decine di atleti e appassionati di nuoto, diventata in seguito un tugurio senza neanche più i vetri alle finestre né maniglie alle porte, sostituita dal centro sportivo “Pino Daniele” che sarà gestito dal Gruppo sportivo della Polizia di Stato Fiamme oro. Inaugurato esattamente un mese fa, il 28 maggio, dopo cinque mesi di lavori intensi per rimetterlo in sesto, il centro rappresenta una “promessa mantenuta” per il ministro dello Sport Marco Mezzaroma.
Nuovo nome, nuovo simbolo. “Faremo di Caivano un modello per la Nazione intera, dimostreremo che si poteva fare ed esporteremo quel modello in molte altre Caivano d’Italia”, ha promesso la premier, durante l’inaugurazione del nuovo centro sportivo a Caivano. “Ricordo che con il decreto coesione abbiamo investito 3 miliardi di euro di fondi europei per le periferie di 14 città metropolitane, 39 città medie del Sud, su un programma finalizzato alla rigenerazione urbana”, sottolinea il Presidente del Consiglio, che non erano riuscite “a proteggere i più fragili, i più piccoli…”.