La musica e la fede: cantare è pregare due volte

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Da Sanremo alle colonne sonore: infinite note hanno cantato il legame fra l’uomo e Dio

La musica domina le nostre vite ed è connessa direttamente con la spiritualità, ci proietta verso un universo di emozioni e sentimenti che diventano fede. Come diceva Johann Sebastian Bach «l’unica cosa degna di essere celebrata dopo Dio è la musica».

Esempi di musica colta e popolare sono innumerevoli: nella canzone d’autore non si può non ricordare «La buona novella» di Fabrizio De André è certamente una significativa testimonianza di come il sacro possa essere interpretato attraverso la canzone pop. Emerge il desiderio di elevarsi a Dio, quasi come un’esigenza di ritrovare nelle pagine dell’esperienza umana la Sua presenza. Altro esempio è «Madre dolcissima» di Zucchero, o l’inno alla vita interpretato dalla voce di Fiorella Mannoia e della cantautrice Amara in «Che sia benedetta». E ancora la meta di un viaggio straordinario verso Dio lo troviamo in Roberto Vecchioni nel suo brano «Stazione di Zima».

Così, in un tempo nutrito di parole e storie social, di presenze assenti e ritmi a volte omologati, la sacralità della creazione musicale risveglia la capacità di ascoltare con la parte analogica del cervello e cioè il cuore, per condurci in nuovi mondi.

Il rapporto fra Dio e la musica popolare in un paese come l’Italia non può che essere strettissimo. Questo sia in positivo che in negativo, sia per coloro che celebrano o – più spesso negli ultimi decenni, cercano – Dio, sia per coloro che lo negano o lo criticano. Del resto, la nazione più cattolica del mondo è anche quella che ha una tradizione anticlericale più forte. Così abbiamo tante canzoni presentate a Sanremo che lamentano la lontananza o l’assenza di Dio: dalla famosissima “Dio è morto” dei Nomadi, del 1967, scritta da Francesco Guccini, emblema della contestazione a “Qui Dio non c’è” di Claudio Baglioni, presentato nel 1990, che parla dei diseredati della terra, o “Dio non c’è” di Marco Masini, 1993, con un testo di rabbiosa disperazione. E siccome l’Italia è terra di contrasti proprio in quella stessa edizione di Sanremo Renato Zero con “Ave Maria” ha portato sul palco dell’Ariston un’intensa riflessione su una delle preghiere più famose e care alla religiosità popolare. Questo aspetto della pietas è il leitmotiv di tanti brani sanremesi, come “Pregherò” di Al Bano, presentato al Festival di Sanremo del 2017 o – tornando indietro negli anni – “Una donna prega” di Nilla Pizzi, del 1953. O ancora, come non ricordare quel «Jesahel» dei Delirium, che vibra su «frequenze alte» e fu presentato al festival di Sanremo del 1972: un’altra prova di come la musica leggera abbia omaggiato la spiritualità. Scritta da Oscar Prudente e Ivano Fossati fu un successo extraeuropeo con oltre un milione di dischi venduti. Chiaro il significato del testo di «Jesahel», che diventa un’espressione lirica dal profondo significato, in un mondo dove ci sono rumore, sofferenza e superficialità, ricorda la volontà di una corrispondenza con una potenza superiore, con qualcosa che trascende e che dona conforto e ci fa sperare in una società migliore.

Cosi come il Giubileo nel quale da poco abbiamo fatto il nostro ingresso è dedicato alla speranza, nella musica troviamo questo desiderio di non perdere mai l’ottimismo dell’attesa e la consapevolezza che non siamo soli. Un’altra testimonianza è la canzone del film di Franco Zeffirelli «Fratello sole sorella luna» dal titolo «Dolce sentire», brano che porta la firma nella musica di un grande compositore di colonne sonore: il maestro Rizt Ortolani. Con il testo di Claudio Baglioni, che ne è anche interprete, la canzone rappresenta una vera preghiera consapevole come si comprende bene nelle parole: «Dolce è capire che non son più solo ma che son parte di un immensa vita che risplende intorno a me, dono di Lui del Suo immenso amore».

La musica, la canzone e tutto quello che il mondo della creatività produce è sicuramente un elemento che lega la dimensione terrena a quella dell’anima, lo dimostra l’intensa produzione d’ispirazione sacra che abbraccia tutti i generi musicali e che ci fa intonare le note più alte ben oltre lo spartito, che ci permette di cantare e così pregare due volte, come diceva Sant’Agostino.

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