Cancel culture in salsa francese: Luigi 14 e non Luigi XIV

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Antoine Coysevox, CC0, via Wikimedia Commons

Pressoché tutti i romanzi distopici contengono un passaggio in cui una vestigia del vecchio mondo viene mostrata distrutta: in «1984» Orwell disegna un futuro in cui la calligrafia è scomparsa, e il protagonista si trova impacciato ad aver a che fare con un vecchio quaderno di carta color crema e una penna vera, non una ruvida «matita a inchiostro». In «Fahrenheit 451» Ray Bradbury depreca la scomparsa dei bottoni per far posto alle chiusure-lampo, togliendo così all’uomo quei pochi istanti di riflessiva intimità durante la vestizione. In «1984&1985» Anthony Burgess si lamenta per la distruzione – reale – del vecchio sistema monetario inglese, avvenuta il 15 febbraio 1971 (Decimal Day), che ha sostituito un meccanismo che per un vecchio britannico aveva un’eleganza tutta sua (anche logica, con buona pace di noi sostenitori del sistema decimale). Tutti questi episodi solo collegati da una medesima sottotraccia: il Mondo Nuovo, la temuta distopia, in tutti i casi si è realizzato separando gli individui dalle vestigia del loro passato. Vestigia magari macchinose, come il quadrante a 12 ore dell’orologio (sempre in «1984», sostituito da un quadrante a 24 ore e una sola lancetta) ma che davano il senso di una continuità con le proprie radici. E non che questo sia solo fantascienza: Mao e Pol Pot ci hanno provato nella realtà, con risultati che ancora grondano sangue.

Antoine Coysevox, CC0, via Wikimedia Commons

L’analogia con quanto sta avvenendo in Francia in questi giorni salta dunque subito agli occhi: il museo Carnavalet di Parigi ha deciso di tradurre in cifre «arabe» i numerali dinastici dei sovrani francesi, come da tradizione indicati in numeri romani. Avremo così un «Luigi 14» che sostituisce il classico Luigi XIV perché i visitatori «hanno difficoltà a leggere i numeri romani». La motivazione è tanto per cambiare apparentemente nobile, il classico «i bambini! Nessuno che pensa ai bambini!»: «Notiamo tutti – ha dichiarato al «Le Figaro» la responsabile del servizio per il pubblico del Carnavalet, Noemie Giard – che i visitatori leggono poco i testi nelle sale, soprattutto se sono troppo lunghi. Hanno tendenza a fare zapping anche al museo. Quante volte abbiamo visto degli adulti leggere i testi dedicati ai bambini?».

Insomma, per la Giard, è più semplice abolire una traccia del passato piuttosto che insegnarla. Massimo Gramellini sul «Corriere della Sera» mette a nudo la bontà pelosa di queste teorie: «prima non si insegnano le cose, e poi le si eliminano per non far sentire a disagio chi non le sa». Così la cancel culture si fa strada anche in Francia, dove se è più difficile colpire le statue, grazie all’usbergo che fornisce la caparbia grandeur nazionale, è sempre possibile ideare strategie d’aggiramento. La cancel culture, d’altronde, si muove come l’acqua e segue le vie di minor resistenza: in Francia sono decenni che assistiamo alla mattanza delle chiese neogotiche e neoromaniche: uno scempio urbanistico che si giova del diffuso anticlericalismo e laicismo francese. Ora è il turno dei numeri romani, perché tutto sommato una sottotraccia anti-romana in Francia c’è sempre stata e i difensori della cultura classica sono sempre più una pattuglia ristretta, vilipesa, trattata da «secchioni» e «matusa» inutili nell’epoca della globalizzazione anglicizzante. Là si può colpire con facilità. E infatti si colpisce.

Come da copione, queste operazioni funzionano attraverso il meccanismo della «finestra di Overton». Era già stato il prestigioso Louvre ad abolire la numerazione romana per i secoli. Identiche le motivazioni. Ma come una diga a cui viene fatto un forellino, di lì a poco la perdita da un piccolo schizzo diventa una cataratta. E alla fine ci si ritrova con un Vajont. Spiega in una interessante serie di lezioni online il latinista Guido Milanese, ordinario di Lingua e Letteratura latina alla Cattolica di Milano, che il Concilio Vaticano II formalmente non ha abolito la lingua di Cicerone dalla liturgia. Tuttavia nel ginepraio delle sue conclusioni, i nemici della tradizione si sono lasciate aperte una serie di porte sul retro che hanno de facto portato alla distruzione del patrimonio classico della Chiesa di Roma. Il forellino nella diga della tradizione cattolica si è trasformato in un’apocalittica devastazione i cui frutti si colgono oggi, con le chiese vuote e le messe deserte del pontificato bergogliano. Il meccanismo è il medesimo: quando si cede qualcosa alle forze della cancel culture, al Nulla di Michael Ende, si stanno aprendo le porte al nemico come i Troiani col cavallo di legno. La lezione è dunque severissima: con chiunque propugni qualsiasi forma di cancel culture non si tratta e davanti alle sue istanze non si cede un millimetro. L’alternativa è un’apocalisse culturale alla Pol Pot ma con un miglior ufficio stampa.

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2 Commenti

  1. Eppure, ai francesi dovrebbe risultare facile comprendere la logica dei numeri romani: loro per dire, per esempio 90, dicono 4×80+10… i romani si accontentavano di 100-10.

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