Sull’esempio di Verga, evoluzione sì ma conservando l’identità

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Giovanni.grasso, CC BY-SA 4.0 creativecommons.org , via Wikimedia Commons

Nel 1881 Giovanni Verga pubblicava I Malavoglia, un romanzo che lo avrebbe consacrato quale principale esponente del Verismo italiano. È sempre interessante contestualizzare le grandi opere letterarie e leggerle alla luce dell’evoluzione della storia. Nei Malavoglia tutto l’intreccio della vicenda ruota attorno al concetto del “vero” e alla “morale dell’ostrica“. L’ideale dell’ostrica è indissolubilmente legato al profondo pessimismo di Verga ed è una concezione drammaticamente attuale, come se l’opera fosse stata scritta non nel 1881 ma ai giorni nostri. Verga guarda e riferisce di una società improntata allora come ora e forse com’è sempre stato, sull’ homo homini lupus, una società crudele in cui si lotta per sopravvivere e il più forte, mosso unicamente dal proprio interesse economico e dall’egoismo, schiaccia il più debole che non può che soccombere. Questa sorta di darwinismo è la selezione della natura trasposto nel tessuto sociale, è la immutabile legge della giungla con cui ogni giorno, dopo 160 anni, ci troviamo a fare i conti nonostante la nostra sia teoricamente una civile società di diritto. La grandezza del Verismo è “ uno studio sincero e spassionato”, la riproduzione fotografica della realtà, del Vero, esattamente così com’è, senza coinvolgimento alcuno dell’autore. Nel 1881 Verga si contrapponeva a chi teorizzava la religione del progresso a tutti i costi. Verga, come una sorta di premonitore, intuiva che l’esasperazione della fiumana del progresso avrebbe travolto e distrutto il mondo dell’ostrica, un mondo arcaico ma sicuro, fatto di valori, di casa, di tradizione, di famiglia, un mondo che rappresentava le radici, gli affetti semplici, le fondamenta dell’esistenza umana. Quando l’ostrica si stacca dallo scoglio su cui vive, viene divorata dal pesce vorace. Così, chi è già socialmente debole e vinto, se si stacca dal proprio ambiente e dai valori del suo microcosmo, viene divorato dal mondo dei crudeli meccanismi sociali e non ha la possibilità di sopravvivere. Non è idealizzazione del nido familiare, è quasi un sistema di opportunità che avvicina incredibilmente i nostri poveri giorni a quei poveri siculi. Riflettiamo su quella che potrebbe sembrare una contraddizione: quanto conta oggi avere una piccola casa, un piccolo lavoro e una famiglia per resistere alle tempeste della vita? E di contro è giusto dover restare arroccati in quella che alcuni considerano una prigione e non poter conoscere il mondo? E ancora: è giusto dover andare alla ricerca di prospettive lontano, per non poterne avere nella propria terra? Il mondo è di tutti noi e forse la straordinaria chiave di lettura moderna del Verismo dei Malavoglia è intima: è cercare di pensare ad un’evoluzione che conservi l’identità, la nostra cultura, i nostri ideali e i nostri valori che fanno del progresso un vero progresso e non un regresso che si rifà il trucco come un sepolcro imbiancato. La globalizzazione a tutti i costi avvizzisce le radici dei popoli e senza radici qualsiasi “ostrica” muore.

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