Il giornalismo in presa diretta, quello fatto sul campo e andando là dove le cose accadono, è in crisi. E questa, come si direbbe in redazione, non è una notizia. Ci si può piangere addosso oppure fare qualcosa di concreto e di utile. Come il premio in memoria di Almerigo Grilz, ora giunto alla seconda edizione, dopo il successo dello scorso anno. Un premio che nasce per ricordare il primo reporter italiano caduto sul fronte dopo la Seconda guerra mondiale e che, per decenni, si è cercato di dimenticare. Inviato ignoto, è stato definito. Ma solo fino a poco fa. Perché Almerigo, ora, anche grazie all’associazione di amici che porta il suo nome, è tornato ad avere piena cittadinanza nel panorama giornalistico.

Il premio è rivolto a tutti quei giornalisti, che abbiano meno di quarant’anni, che partono per i loro reportage, con la voglia di entrare nelle notizie, cercare storie, raccontare fatti. Ovunque abbiano lavorato, sulle linee del fronte o nelle retrovie, che siano guerre o inchieste, sempre con le suole sul terreno e dentro l’azione. Il Premio vuole essere un incentivo per una nuova leva di giornalisti, uomini e donne, accomunati dalla passione di informare in modo intelligente e coraggioso, con un solo obiettivo: raccontare storie vere. Un aiuto concreto, anche grazie ai premi per i vincitori: il primo classificato verrà premiato con la somma di 3.000 euro per un reportage e una targa ricordo; il secondo classificato con la somma di 2.000 euro e una targa ricordo; il terzo infine con la somma di 1.000 euro e con targa ricordo.



Ma non solo. Perché per ricordare Almerigo, Fausto Biloslavo e Davide Arcuri si trovano ora in Mozambico. Nella periferia di Caia, dove Grilz ha trovato la morte, colpito alla nuca da un cecchino del Frelimo il 19 maggio del 1987. Il reporter viene colpito a morte, mentre si sta ritirando insieme alla sua cinepresa. Il proiettile lo centra, Almerigo cade e riprende la scena. Inquadra i suoi anfibi, che non si muovono più. Qualche combattente pietoso lo prende e lo seppellisce sotto un albero di mutongo. Venti anni dopo, Gian Micalessin torna in Mozambico e si mette sulle tracce dell’amico e collega. Ritrova l’albero sotto a cui riposa. Un albero come tanti, in una foresta come tante. Ma che oggi, grazie alla targa realizzata dagli Amici di Almerigo e affissa da Biloslavo, porta il nome del reporter e le scritte: “Giornalista italiano ucciso mentre stava realizzando un reportage sulla guerra civile in questo Paese”. E poi la frase di Grilz: “Mi piego a filmarli. Non è facile, devi stare schiacciato a terra perché i proiettili fischiano ovunque. Alzare troppo la testa sarebbe fatale”. Quasi che Almerigo avesse visto ciò che gli sarebbe successo.
E ora il premio torna, non solo con le candidature ma anche, e soprattutto, con la serata di presentazione che si terrà il prossimo 19 maggio presso la Sala Umberto I di Palazzo Cusani a Milano e sarà seguito da un corso di informazioni per giornalisti e da tre incontri, che si terranno in tre province lombarde, su giornalismo di guerra e comunicazione.