“Romanes eunt domum”. “Certi chiamati Romanes vanno la casa?”. Lo sketch dei Monty Python in “Brian di Nazareth” ha fatto ridere due generazioni di studenti di liceo: il giudeo Brian imbratta i muri del pretorio romano a Gerusalemme con l’equivalente latino di “Yankee go home” ma sbaglia declinazioni e coniugazioni. Pescato da una pattuglia di legionari, questi lo costringono a riscrivere tutto con il piglio dei severissimi professori di una volta.
Oggi ci possiamo chiedere quanti nati dopo il 1990 riderebbero a quel siparietto. Così come in tantissimi – troppi – guardano perplessi un Ettore Petrolini che nel 1929, per un pubblico che era quello dei ridanciani romani all’Ambra Jovinelli, che nei panni di Nerone declama: “Panem et circentim”. “Panem et circenses!” lo corregge una voce fuori campo. E lui: “Guarda, c’è pure uno che parla bergamasco”.
C’è dunque poco, pochissimo da ridere. Perché il fatto che simili esempi di ironia non tocchino più le corde del pubblico vuole dire che certe radici sono state recise. Se il comico del XX secolo faceva riferimenti ai classici e il pubblico, anche quello più popolare, rideva, era perché c’era una diffusa conoscenza di ciò che si stava parodiando. Quando Totò si atteggiava a professore e sentenziava un improbabile “rememberiminis ominibus, ossia ricordati, o uomo!” strappava la risata perché il pubblico sapeva che stava dicendo un’eresia linguistica. Oggi invece ci sono film di Franco & Ciccio con battute sulla “Gerusalemme Liberata” che possono essere goduti solo da laureati in Lettere, beninteso con la specialistica, perché la triennale non sarebbe sufficiente.
Il lettore a questo punto si chiederà: “ma dobbiamo davvero far studiare latino fin dalle medie solo perché così dei vecchi film in bianco e nero possano piacere a quelli della generazione Alfa?”.
Ovvio che no. Quello è il dito che indica la luna.
La proposta del ministro Giuseppe Valditara di rivoluzionare i programmi scolastici reintroducendo il latino alle medie – abolito oltre sessant’anni fa – insieme alla storia nazionale (al posto di quella sciatteria pedestre che è la “geostoria”) e all’epica (Iliade, Odissea, Eneide, il teatro antico) e perfino alla lettura delle Sacre Scritture ha scandalizzato i sostenitori della “buona scuola”. I quali, ignorando (o perseguendo? A pensar male…) i disastri culturali che le riforme dal Sessantotto a oggi stanno causando, perseverano nel detestabile errore.
A scuola bisogna dare ai nostri figli la possibilità di crearsi un sostrato culturale comune. Comune fra loro, ma anche comune con le generazioni passate. Ecco il senso delle poesie a memoria o della padronanza delle lingue classiche. Ecco il senso della storia e dei libri seminali della nostra civiltà, che è greca, romana e cristiana. Riannodare le corde fra le generazioni ha tanto più senso oggi quando il principale problema all’ordine del giorno è la mancata integrazione di decine di migliaia di giovani immigrati. Sono loro che si integrano? O non sono piuttosto i nostri figli che si dis-integrano dalla cultura originaria, per entrare in una brodaglia che è l’equivalente culturale del junk-food? Anziché portare lo straniero alla nostra cultura, si è abbassato il giovane italiano a un livello subculturale mediocre, un non-luogo identitario in cui i memi culturali sono indifferenti e superficiali. Da dove vieni? Chi sei? Chi fuor li maggiori tui? La scuola da ascensore se non sociale, quantomeno identitario-intellettuale, è diventata un piano inclinato verso un nulla dove risuona la trap.
Il latino, la storia e i classici sono invece i pilastri della nostra identità: sono saperi totipotenti, acquisiti i quali si può procedere verso una qualunque specializzazione tecnica. Non è un caso che i nostri premi Nobel scientifici si siano formati con la scuola gentiliana, a suon di latino (e chi ha fatto in classico, come il chimico Natta o il biologo Luria, anche il greco). La formazione sui classici ha per i cervelli e le personalità lo stesso effetto che l’atletica o la ginnastica artistica danno ai corpi: una volta acquisita la padronanza dei movimenti e l’efficienza muscolare che danno queste discipline fisiche è possibile affrontare qualunque sport con successo. Nessun allenatore manderebbe un ragazzino sul campo o sul quadrato senza averlo prima allenato fisicamente. “Togli la cera, metti la cera, Daniel-san!”. Cosa c’entrava la cera con il karate? La risposta del maestro Miyagi in “Karate Kid” è l’equivalente cine-pop del perché farà benissimo ai nostri giovani riprendere in mano il latino fin dalle medie, insieme alla storia e all’epica. Adesso non vedi il nesso con ciò che vorrai fare da grande. Quando lo farai, quando – soprattutto – sarai grande, ti renderai conto dell’incredibile utilità umana, esistenziale innanzitutto che quelle discipline ti hanno donato.