Tra marinai e palombari quel Carnevale così amato

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Scomporre e ricomporre la realtà, riproducendola in immagini e manufatto, è ciò che accomuna l’arte carnevalesca con quella futurista. Non solo le maschere, ma anche i carri allegorici, trovano così come la pittura e la ceramica, l’espressione sapiente di chi, nel dinamismo, rivela il linguaggio artistico in grado di far sorridere e riflettere al tempo stesso. Loano, per tradizione e vocazione, può vantare questo patrimonio, coniugando le avanguardie artistiche del ‘900 con ciò che è quanto di più popolare come il Carnevale. La storia ci racconta che quel che è generalmente chiamata ceramica, ma che possiamo distinguere a seconda delle tipologie del materiale utilizzato e la cottura impiegata, in gres e porcellana, come ceramica compatta e quindi impermeabile e resistente al freddo, e ceramica porosa, quali terracotta e maiolica, ovvero materiale più morbido e assorbente, trova l’uso quotidiano con manufatti artistici fin dall’antica Grecia e l’impero Romano. In Liguria, il primato artistico della produzione ceramica, spetta senza alcun dubbio all’area del savonese dove, già nella seconda metà del XII secolo, esiste ampia testimonianza. A partire dalla seconda metà del 1400 fiorisce e giunge fino a Genova il carattere identitario del manufatto. Saranno poi i secoli successivi, ovvero il Cinquecento e il Seicento, a rendere la ceramica artistica ligure oggetto di esportazione oltre Oceano e nei servizi delle corti europee. In epoche più recenti, è il sodalizio con il Futurismo a dare nuova linfa alla produzione artistica della ceramica. Si realizza così anche uno scarto di valore economico, del prodotto nella sua dimensione artistica, grazie alle firme di artisti italiani e stranieri quali, per esempio, Tullio d’Albisola, Farfa, Acquaviva, Diulgheroff, che trovano nella sapienza della produzione artigianale del Ponente Ligure, un vero e proprio punto di riferimento. Ma oltre a un carattere identitario di natura artistica, il territorio trova in Loano quello della grande tradizione marinaresca. A testimonianza di ciò basta scorrere, come una sorta di diario di bordo dello stupendo borgo ligure, i nomi dei comandanti di rango a cui, nel corso dei secoli, Loano ha dato i natali. A partire dagli illustri Pietro e Andrea Doria fino ad arrivare a Nicolò di Giuseppe Accame, Angelo, Guido e Luigi Biancheri e Eugenio Genta. A custodire la prova dell’antichissimo rapporto tra Loano e il mare è il Museo del Mare e della Marineria. Ma per trovare perle nella tradizione, la marineria di Loano scende in profondità. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli anni ’70 del novecento la città è stata la più grossa “fornitrice” di palombari dopo Viareggio con il primato, sempre ligure, della formazione militare in cui i palombari si laureano incursori a Consubin a Le Grazie in provincia della Spezia. Una fama più che meritata per i palombari loanesi, resi celebri nell’ambiente per aver partecipato a missioni internazionalicome quella per il recupero dello “Scirè” al largo di Haifa. Tra i più noti palombari loanesi vanno ricordati i Lertora (il padre Giovanni con i figli Andrea e Virgilio), Vittorio Boggini, Angelo Spirito, Giuseppe Guido. I palombari loanesi non lavorarono solo all’estero, ma anche nel mare di casa occupandosi del relitto del “San Guglielmo”, un transatlantico che, all’epoca delle grandi migrazioni, faceva la spola tra l’Europa e le Americhe e che fu affondato da un sottomarino tedesco nel gennaio 1918 mentre navigava a 800 metri al largo di Loano. Si trova ad una profondità relativamente agevole, perciò all’inizio del ‘900 fu privato di tutto il materiale recuperabile dai palombari dell’Artiglio, la stessa nave che poi si occupò del relitto della nave romana affondata al largo di Albenga. Possiamo dunque attribuire a Loano il titolo di città identitaria di mare, marinai, palombari in cui la bellezza di altri tempi si coniuga con la modernità del carnevale che si rinnova ogni anno. Quel carnevale caro a L’11 settembre 1914 a Balla che nel 1914, era un fatidico 11 settembre, fu capace di redigere il «Manifesto del vestito antineutrale» dove sono appuntate le regole di ciò che deve indossare il futurista: «Noi futuristi sbandieriamo oggi quei vestiti antineutrali, cioè festosamente bellicosi». Come doveva essere l’abbigliamento futurista? Doveva essere composto con tinte accese, naturalmente votate all’italianità e dunque declinati in bianco, rosso e verde, ma con diverse fogge per mattina e sera, a dominare le forme geometriche disposte in modo così che balzasse agli occhi immediatamente l’idea del movimento. Lo stesso movimento a cui continuiamo a guardare perché anche il turismo, vocazione di Loano, è futurismo.


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