«La sera del 20 febbraio 2009 c’erano 2 gradi a Roma, ma per la Notte del Futurismo riuscimmo a portare in strada al centro quattrocentomila persone». Lo rivendica con orgoglio, Umberto Croppi, con il quale abbiamo potuto fare una lunga chiacchierata. Oggi direttore di Federculture e presidente uscente della Quadriennale d’arte di Roma, in quel 2009 era assessore alla cultura della giunta Alemanno. L’unica di destra a Roma dalla nascita della Repubblica. Un’appartenenza mai dimenticata, tantomeno rinnegata. «Mi sono allontanato dalla politica, ma per chi viene dal Movimento Sociale Italiano l’esperienza di militanza ha portato a contatto con tante realtà e talmente varie da mettere a dura prova una definizione univoca di “destra”. Ma tutto ciò era oltremodo un segno di vitalità e i dibattiti fra le varie anime erano seri e profondi». Come testimoniava il ribollire attorno a esperienze che oggi sono tornate d’attualità, con l’inaugurazione della grande mostra su Tolkien alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Croppi infatti nella sua militanza giovanile era stato uno dei fondatori di quei «Campi Hobbit» che avevano rivoluzionato la destra missina negli anni Settanta del XX secolo: «Per quelli della mia generazione – spiega Croppi, che è classe 1956 – quella tolkeniana fu una delle esperienze più riuscite. Ne avevamo un bisogno esistenziale. Però non partimmo tanto dal “Signore degli Anelli”, bensì da “Lo Hobbit”. Ci piaceva la storia di questo piccolo borghese, l’hobbit Bilbo, che viene trascinato in un’avventura pericolosa da quel matto di Gandalf». Erano quelli gli anni de «La voce della fogna», organo col quale si puntava a rinnovare l’armamentario retorico e la comunicazione politica, «ma soprattutto rimetterci in comunicazione coi coetanei» chiosa Croppi. «Così con Generoso Simeone fondammo il primo Campo Hobbit, per dar voce ai gruppi musicali, ai circoli ambientalisti, all’esperienza della rivista femminile “Eowyn”. Dunque – conclude Croppi – non potevo non visitare con grandissimo interesse ed entusiasmo questa mostra che però, occorre sottolinearlo, ha un carattere essenzialmente scientifico ed editoriale, con qualche digressione pop, ma senza alcun taglio politico. Come del resto si addice a una cornice prestigiosa come quella in cui è stata allestita».
E invece, curiosamente un grande assente fino agli anni recenti sono state le Avanguardie: «Un tema latente per tutta la seconda metà del Novecento – continua Croppi – che ha ripreso vigore solo negli anni più recenti». E il contributo dato da Croppi in quel senso è stato importante: proprio fra il 1996 e il 2005 è stato direttore editoriale di Vallecchi, casa editrice che in quegli anni diede alle stampe decine di volumi sul Futurismo, fra cui l’edizione anastatica de «Lacerba» e il monumentale «Dizionario del Futurismo», oltre che i testi di Marinetti, Prezzolini, Soffici. In quello stesso periodo Croppi fu anche fra gli organizzatori di un concerto di musica futurista (che si avvalse di riproduzioni degli «intonarumori» di Luigi Russolo) e di serate marinettiane che videro calcare le scene fra gli altri, proprio al direttore di «CulturaIdentità», Edoardo Sylos Labini.
Il quale fu poi protagonista anche di una delle molte iniziative della Notte del Futurismo, quella tenuta alla Galleria Colonna. «Per l’occasione del Centenario – rievoca Croppi – come assessore capitolino diedi diverse interviste. In una di queste, per il “Corriere della Sera” annunciai che non ci sarebbe stata più la “notte bianca” veltroniana, ma tante notti, la prima delle quali sarebbe stata quella futurista». Un’operazione che doveva essere molto diversa da una rievocazione: «Marinetti sarebbe inorridito se ci fossimo limitati a quello. Invece abbiamo dato spazio alla novità. Le forme non possono essere ripetute, era lo spirito che doveva essere mantenuto. E per questo abbiamo voluto eventi come l’illuminazione laser da Piazza del Popolo a Piazza Venezia e l’installazione video-sonora di Bryan Eno, durata due mesi. Peraltro lo stesso Eno in conferenza stampa raccontò che senza il Futurismo lui non sarebbe mai divenuto ciò che era. La lezione del Futurismo dunque è che la base per l’avvenire sono stimoli e suggestioni, non la riproduzione delle forme».
Con questo spirito Croppi ha affrontato anche il periodo alla guida della Quadriennale di Roma: «Ad agosto si è concluso il mio mandato, e al momento non sappiamo se è in vista una riconferma o un avvicendamento. In ogni caso sono molto soddisfatto d’aver potuto dimostrare che si può lavorare in condizioni difficili, visto che arrivai alla presidenza praticamente con l’inizio dell’emergenza covid». Un disastro che si è abbattuto anche sull’arte, con chiusure e tagli di bilancio. «Arrivai alle soglie dell’epidemia con una mostra già preparata dai miei predecessori. Nonostante tutte le restrizioni e un budget ridotto alla metà riuscimmo comunque tenere l’unico evento sull’arte contemporanea di livello internazionale di tutto il periodo dell’emergenza» racconta Croppi. E terminato il regime sanitario, la Quadriennale ha attuato iniziative di assoluta innovazione: «Abbiamo creato la figura del direttore artistico con incarico triennale; abbiamo avviato attività quotidiane, come gli studio-visit dedicati ogni giorno a un giovane artista italiano, il tutto poi raccolto e pubblicato a stampa. Abbiamo creato la mostra mensile sull’arte contemporanea a Palazzo Braschi per dar spazio ad artisti esordienti con il supporto di critici, e sempre per la critica d’arte abbiamo avviato con la Treccani una collaborazione per realizzare l’”Annuario della Critica”. E poi c’è il festival dell’arte contemporanea alle Terme di Diocleziano. Il tutto riuscendo a trovare risorse per assumere 40 addetti e incrementare il bilancio del 140% attraverso finanziatori pubblici, privati e il botteghino. Un bilancio che ho potuto chiudere in attivo, anche perché abbiamo implementato la capacità dello staff della Quadriennale di accedere e vincere i bandi di concorso e attraverso un partenariato con la Camera di Commercio di Roma». E anche qui torna l’insegnamento futurista: «Oggi una delle esigenze che abbiamo è quella di organizzare e promuovere il contemporaneo e la sperimentazione. Noi italiani abbiamo moltissimo da dire e ci sono migliaia di giovani talenti che creano nello spirito che fu delle avanguardie. Dobbiamo puntare su di loro».