In viaggio nella Storia alla ricerca della città ideale

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La parola chiave di questo numero è armonizzare e abbiamo deciso di declinarla trattando il tema della “città”. Una questione molto attuale, che spazia dalle smart cities al più generale dibattito sulla riorganizzazione, armoniosa appunto, degli spazi urbani. Un argomento squisitamente biopolitico nella misura in cui riguarda la vita quotidiana di ciascuno di noi, lo stare-insieme, il lavoro, la nostra possibilità di costruire una famiglia e mettere al mondo dei figli in uno spazio in cui ci sentiamo a casa e dove possiamo mettere radici, perchè ci consente un’esistenza decorosa e orgogliosa della propria appartenenza. Questo è sin dai suoi albori il senso della polis. E trattare della “città” ci ha consentito di costruire un percorso organico anche nelle pagine dedicate ai territori, il cui filo conduttore sono state le città di fondazione, attraverso le quali, dai tempi di Ippodamo da Mileto, l’uomo europeo ha avuto cura di sforzarsi di concepire, concretamente, un contesto ideale in cui vivere. Un’ambizione connaturata alla sua essenza, dalla propensione alla tecnica intesa come razionalità progettante volta a piegare la natura matrigna alle proprie necessità e perciò stesso soggetta a una pericolosa eterogenesi dei fini. Eppure il brutale sinecismo funzionale che caratterizza le megalopoli contemporanee e, più in generale, il diffuso degrado in cui viviamo, ci impone di cercare soluzioni intellettuali per il nostro futuro urbano, che vadano al di là del mero abitare in qualche posto. D’altronde la civiltà del Vecchio Continente è processo di civilizzazione eminentemente urbano, come ci insegna la sua storia dall’antichità greco-romana ai giorni nostri. Il difficile è escogitare un modello sul quale puntare. La riflessione sulle ipertecnologiche (ed algoritmiche) smart cities, in fondo, vuole proprio soddisfare questo interrogativo, ma lo spirito europeo subisce, senza esserne protagonista, il dibattito in corso, costretto com’è tra il modello tutto  CentroCommerciale&DecostruzionismoFunzionale delle archistar americanizzanti e i termitai supertecnologici asiatici. Nelle pagine che leggerete, troverete costantemente, in forma più o meno latente, la perplessità, quando non l’insofferenza, che questi modelli suscitano. Qualcuno potrebbe intenderle come una forma di resistenza passatista al nuovo che avanza, al progresso umano. Non è così. Al contrario, il paradigma che vede nello scorrere del tempo un lineare miglioramento della condizione umana e delle sue costruzioni culturali va rigettato, semplicemente perchè la realtà delle cose dimostra che è falso e perchè, tutto sommato, è un modo di pensare esso sì davvero antiquato e fermo alla belle époque ottocentesca. Un ampio spazio lo abbiamo riservato alla dimensione storica. E non è un caso. La cultura europea ha nel discorso storiografico una delle peculiarità che la differenziano dalle altre. E scorrendo le città fondate dagli abitanti del nostro paese, il lettore si accorgerà che esse soddisfano il nostro senso estetico, ma anche quello legato alla gradevolezza dell’abitare, quando presentano alcuni elementi come la piazza, la torre e la chiesa/tempio, armoniosamente mescolati a geometrie squadrate che ne garantiscono la vivibilità. Insomma, la bellezza delle nostre città, ma anche la loro funzionalità esistenziale, è garantita da un ordine che si è sedimentato e definito storicamente e che ri-appare come un’araba fenice nelle alessandrie elleniche, come nei castra Romani, nelle prospettive rinascimentali, come nelle città ideali tardo-barocche, fino a giungere alle architetture razionaliste del XX secolo, pur nella differenza degli stili artistici delle varie epoche. Ed è dal nostro stratificato e ricco passato che può dischiudersi, quindi, l’urbanistica del XXI secolo.