Vittoria Belvedere è una di quelle attrici a 360 gradi che identifichiamo orgogliosamente nel teatro italiano. Eppure la sua carriera non è nata sul palcoscenico, ma sulle passerelle. Modella appena 13enne, Vittoria viene scelta a 20 anni dal regista Luciano Martino per debuttare al cinema e da Florestano Vancini per la celebre serie tv Piazza di Spagna, di cui diventa protagonista anche nelle successive edizioni. Da quel momento la sua carriera cresce grazie a tanto impegno, film dopo film: Lui e Lei, con Enrico Mutti, la incorona regina della fiction nel 1998 regalandole ruoli sempre più impegnativi. Nel 2002 Pippo Baudo la vuole al suo fianco per la conduzione del Festival di Sanremo (insieme a Manuela Arcuri), dove si distingue per eleganza, professionalità e compostezza. Poi arriva il teatro e lì Vittoria apre un nuovo importantissimo capitolo della sua vita.
Ora, fino al 24 novembre, è al Teatro Manzoni di Roma con Donne in pericolo, insieme a Benedicta Boccoli e Debora Caprioglio, diretta da Enrico Maria Lamanna. “È la storia di tre carissime amiche separate, che condividono vacanze, feste, viaggi, corsi: tutta la loro quotidianità. A un certo punto una delle tre si fidanza con un dentista e si rompe l’equilibrio nell’amicizia, con le altre due donne che, gelose, provano a mettere in cattiva luce l’uomo, accusandolo di essere un assassino per il solo fatto che la sua assistente sia sparita improvvisamente”, spiega Vittoria. “La trama è ambientata nell’America degli anni ’70, quando i serial killer erano costantemente sulle prime pagine. C’è quindi un risvolto thriller che si interseca con un genere demenziale tipo Una pallottola spuntata”.
Lo spettacolo, che proseguirà la tournée almeno fino a metà gennaio toccando anche città come Ferrara, Belluno, Monza e Bari, vede quindi protagoniste tre donne dal carattere diverso, che si completano tra loro: una sempre pronta a mettere pace e leggerezza nelle cose, una eterna Peter Pan che non si rassegna all’età che passa e un’altra molto cinica, che dice sempre quello che pensa: “È il carattere della mia Jo: rischia di essere scomoda, perché la verità a volte fa male. Le migliori amiche spesso non sono così oneste come lei”.
Quanto ti ci riconosci in Jo?
Pochissimo onestamente. Mi piace dire essere sincera, ma usando attenzione a modi e rispetto verso l’altro. Jo ha un cinismo che senz’altro non mi appartiene, ma è proprio questo a divertirmi soprattutto. Ci sono dei risvolti persino assurdi ed esasperati in lei e negli altri personaggi, che mi appassionano moltissimo. Credo che questa sia la chiave dello spettacolo: se ci divertiamo sul palcoscenico, anche al pubblico arriva lo spirito con cui viviamo la commedia.
Dicevi che spesso la verità fa male. Ti è mai capitato di pagare una verità scomoda che hai detto?
No, ho pagato verità non dette. Avevo scoperto qualcosa sul conto di una mia amica, ma decisi di stare in silenzio per paura di rovinare un’amicizia: si rovinò ugualmente proprio perché ero stata zitta. Mi è capitato anche di scoprire che la mia migliore amica non fosse quello che pensavo. Insomma, in un modo o nell’altro la vita ti pone sempre davanti a una certezza: la verità fa male riceverla, ma è fondamentale.
Oggi, complici i social, sembrano tutti possessori di certezze da esplicare con commenti e consigli non richiesti. Come si reagisce?
Ho imparato a fregarmene e farmi scrollare tutto di dosso, anche perché a 52 anni ci sono ancora cose che mi stupiscono in negativo: non si finisce mai di imparare e vedere cose che non si immaginavano. Quindi, se mi dovessi soffermare su ogni singolo commento non costruttivo, non vivrei più la mia vita: vado avanti e tiro dritto.
Più o meno inconsapevolmente abbiamo tutti una tabella di marcia della nostra vita. A che punto è la tua carriera?
Sono in un momento in cui sono molto felice di quello che faccio: amo il teatro, che da 12 anni a questa parte mi permette di fare spettacoli comici. Sapevo di avere questa vena, ma spesso al cinema non c’è possibilità di esprimersi completamente. Anche in tv, per esempio, ho sempre interpretato ruoli da cattiva o da ragazza viziata di buona famiglia: io però ero convinta di poter essere comica. Marioletta Bideri, produttrice di quasi tutti i miei spettacoli, è una cara amica che mi conosce bene: è grazie a lei che ho potuto cimentarmi in nuove esperienze. Non posso negare, però, che dopo tanti anni mi piacerebbe anche rimettermi in gioco, anche con ruoli più drammatici.
Lo spettacolo della svolta?
My fair lady e Tutti insieme appassionatamente. Se non la svolta, perlomeno la mia realizzazione professionale. Il musical mi ha permesso di completare la mia trasformazione nel lavoro di attrice. Ho imparato il mestiere sul campo, senza nessuna scuola di recitazione alle spalle, quindi ovviamente c’erano dei tasselli che mancavano: con canto e ballo ho potuto esprimere un’altra parte di me che non avevo mai sperimentato.
Il momento più identitario della tua carriera per cui sei riconosciuta ancora a distanza di tempo?
Quello in cui ho frequentato molto la tv, che crea delle icone. La gente mi ricorda ancora come Santa Caterina di Cascia o come la figlia di Augusto Imperatore di Roma. Mi associano addirittura a le ragazze di Piazza di Spagna, la mia prima serie televisiva da cui sono passati tanti anni! Mi stupisce vedere gente che si ricorda ancora nei dettagli quello che è stato fatto e che ha lasciato un segno positivo.
Ti dà fastidio che si faccia sempre riferimento alla tv, quasi come a dire che chi fa teatro è sparito dalla circolazione?
No, perché sono fiera di dedicarmi al teatro perché mi sta dando grandi soddisfazioni, quindi per un pubblico che ritiene sia sparita ce n’è un altro per cui ci sono eccome. Sono orgogliosa di poter rispondere, a chi sostiene che esistano solo cinema e televisione, che io amo il teatro.
La tua città identitaria?
Sono nata a Vibo Valentia, [città identitaria NdR], e della Calabria ho certamente nel DNA l’amore per la convivialità tra cibo e mare. E poi sono generosa ma altresì permalosa: in questo senso mantengo un temperamento mediterraneo. Mi sento però milanese, perché sono arrivata in Lombardia a pochi mesi dalla mia nascita e lì sono cresciuta. Credo che la mia milanesità si esprima nella puntualità, nell’essere severa con me stessa nel lavoro: non amo fare aspettare e mi piace essere regolare e seria. Ora Milano è cambiata, anche dal punto di vista climatico: una volta c’era la nebbia ora purtroppo so che è sparita. È una città che ha anche lei i suoi problemi, ma resta assolutamente internazionale.
Oggi vivi a Roma.
Quando lasciai Milano ero felice di approdare a Roma: una città solare e piena di voglia di vivere, con gente molto compagnona. Dopo trent’anni, però, fatico ancora un po’ con gli orari: è tutto un “Più o meno se vedemo” e una precisa come me ancora ha difficoltà ad abituarvisi. E poi purtroppo Roma è trafficata, disorganizzata, sporca. I turisti non si accorgono perché stanno col naso all’insù, ma appena si abbassano gli occhi ci si spaventi: lo dico con grande dolore perché la bellezza di Roma è indiscutibile. Basterebbe poco per seguire regole che facciano la facciano diventare una città pulita e organizzata.