Non si placano le polemiche a Roma attorno a quella che sembra un’iniziativa di influencer-politics
Roma, la città eterna, è costantemente divisa tra modernità e tradizione, tra innovazione e la protezione dei suoi tesori artistici e storici. La recente iniziativa del sindaco Roberto Gualtieri di allestire una passerella temporanea alla Fontana di Trevi per permetterne una più ravvicinata “fruizione” durante i lavori di restauro ha suscitato reazioni contrastanti, specialmente tra i romani. L’immagine evoca Totò intento a “vendere” la fontana ai turisti ingenui, un’icona cinematografica che trasmette una certa ironia sul desiderio di spettacolarizzare anche ciò che dovrebbe rimanere patrimonio intoccabile.
La passerella è la seconda scivolata di Gualtieri, dopo la ridicola piscinetta per consentire ai turisti l’iconico lancio della monetina in una fontana prosciugata. Quella che è nata come un’iniziativa per “consentire ai cittadini di riappropriarsi” della fontana si è però trasformata, agli occhi di molti, in una discutibile trovata di marketing turistico, paragonata persino a un’opera di “Disneylandizzazione” di Roma. La struttura metallica temporanea, costruita in canne Innocenti da ponteggio di cantiere, ha sollevato polemiche su come le opere d’arte e i monumenti storici debbano essere vissuti. “Roma non è Disneyland,” ribadiscono i critici, affermando che la manutenzione e i lavori debbano svolgersi in modo tradizionale, senza compromettere l’estetica del luogo o renderlo una “scenografia”.
La controversia non riguarda solo l’effetto visivo della passerella, ma tocca anche un tema più ampio: quello della cosiddetta “influencer-politics” di cui Gualtieri viene spesso accusato. In un recente articolo pubblicato da Il Foglio, Andrea Venanzoni ha descritto Gualtieri come il “sindaco-influencer,” ironizzando sulle molteplici inaugurazioni, presenze mediatiche e apparizioni pubbliche in cui il sindaco si è dedicato a “indicare cose” – dall’apertura di strade, alla guida di autobus, fino al togliere il cellophane dai mezzi pubblici o stappare bottiglie di spumante. Una politica dell’immagine che, per Venanzoni, rischia di ridursi a una “fenomenologia” fatta più di gesti simbolici che di interventi strutturali di lungo termine.
L’iniziativa di Gualtieri alla Fontana di Trevi sembra inserirsi perfettamente in questa logica, con l’obiettivo di rendere i monumenti accessibili in modi “instagrammabili” che possano attrarre anche l’attenzione social. Tuttavia, molti romani, e non solo, sostengono che la fruizione dei monumenti debba avvenire per quello che sono, senza alcun bisogno di passerelle o impalcature tramutate in attrazioni. Per loro, una vera tutela del patrimonio consisterebbe piuttosto in una rigorosa e discreta manutenzione.
Come non riandare alla baggianata di Christo sul lago d’Iseo nel 2016, quella passerella galleggiante sul lago che permetteva di “camminare sulle acque”? Ma la differenza è sostanziale: se l’opera di Christo era una temporanea installazione artistica voluta per “scioccare” e impressionare il pubblico, la Fontana di Trevi è un’opera d’arte che già racchiude la sua potenza comunicativa, senza necessità di ulteriori aggiunte.
In questo contesto, alcuni nostalgici ricordano con simpatia la performance di Graziano Cecchini, che nel 2007 tinse l’acqua della fontana di rosso, in un gesto simbolico e provocatorio (e innocuo) che intendeva scuotere la coscienza pubblica sullo stato dell’arte e della città. Quello di Cecchini fu uno “schiaffo futurista” alla mentalità statica della tutela museale, un atto dissacrante ma che non snaturava l’essenza del monumento.
Il dibattito continua, e la passerella alla Fontana di Trevi resta l’ultimo esempio di come, nel cercare di “avvicinare” i cittadini al patrimonio storico, si possa talvolta generare l’effetto opposto: rendere il patrimonio stesso un mezzo per un fine più mediatico che culturale.
Con un’ultima nota di veleno: è sempre più insistente – nell’ambito della lotta al cosiddetto “overturismo” – la voce che l’accesso alla Fontana di Trevi verrà calmierato con tornelli e biglietti a pagamento. Una buona scusa per chiudere una parte di città nell’ottica di quei progetti distopici che tanto piacciono agli ambienti che spesso sindaci dem come Gualtieri e Sala frequentano per… prendere idee (qualcuno dirà “ricevere ordini”, ma sono malelingue, beninteso…). Ambienti appassionati di telecamere, ZTL, entrate e uscite calmierate, divieti di circolazione e permessi graziosamente concessi ai poveracci (i ricchi pagano, fanno come vogliono). Farsi venire il sospetto che la passerella non sia altro che una distrazione di massa mentre avanza la finestra di Overton della città compartimentata (prima solo per i turisti, poi per tutti), è più che lecito.