80 anni fa il Rastrellamento del Ghetto. La storia non ci ha insegnato nulla?

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Le immagini degli israeliani rapiti e condotti come ostaggi nella striscia di Gaza sono ancora davanti agli occhi del mondo, e il parallelo con ciò che accadde esattamente ottant’anni fa con la razzia del Ghetto di Roma viene spontaneo. Oggi, 16 ottobre infatti la comunità ebraica di Roma ricorda il tragico rastrellamento della capitale, compiuto dalle SS di Herbert Kappler e Theodor Dannecker nel 1943.

Dal 10 settembre 1943 i tedeschi erano padroni di Roma. L’Urbe, dichiarata “città aperta”, doveva essere controllata da soldati italiani armati solo alla leggera, ma in breve le autorità tedesche si rimangiarono la parola e disarmarono anche le poche truppe rimaste al Comando Città Aperta. Giovava ai tedeschi la situazione di “zona grigia” in cui versava l’ex capitale: non zona di guerra, non più parte del Regno, non ancora sotto controllo della neonata RSI… Ai primi di ottobre i soldati italiani furono dunque definitivamente disarmati e gli ufficiali intimati a spostarsi al nord per aderire alla RSI. I dissenzienti sarebbero stati internati in Germania. Roma restava così sotto il completo controllo dei tedeschi, mentre le formazioni fasciste repubblicane erano ancora embrionali e composte quasi solo da uomini graditi ai comandi politici e militari di Berlino. Già a fine settembre il comandante nella piazza di Roma del Sicherheitsdienst (una delle polizie più potenti del Reich), Herbert Kappler, decise di approfittare della situazione, imponendo alla comunità ebraica romana un “riscatto” pari a 50 kg d’oro. Se gli ebrei non avessero pagato, la minaccia era la deportazione di duecento persone. Nel giro di poche ore gli israeliti riuscirono a raccogliere la somma richiesta e di fronte a questa pretesa anche la Santa Sede fece sapere d’essere disposta a contribuire fornendo lingotti d’oro per raggiungere il peso del riscatto, anche se non fu necessario alla fine.

Nonostante il pagamento, Kappler presto si rimangiò la promessa di non perseguitare gli ebrei romani, pressato dagli ordini del suo superiore Ernst Kaltenbrunner a Berlino. Gli ebrei romani dovevano essere “estirpati”. Ai primi d’ottobre Kappler venne raggiunto da Theodor Dannecker, un esperto “cacciatore di ebrei”, il quale dispose tutto per il rastrellamento. Il 16 ottobre un reparto composto da 365 uomini delle polizie tedesche iniziò a catturare uomini, donne e bambini nel Ghetto. Il giorno, sabato, fu scelto apposta per poter cogliere più persone possibile. 1.259 furono i rastrellati, fra cui un neonato partorito poche ore dopo la cattura di sua madre, Marcella Perugia. Al rastrellamento non parteciparono forze italiane, giudicate da Kappler indegne di fiducia per queste operazioni. Nel rapporto inviato a Berlino, Kappler biasimava infatti la resistenza passiva degli italiani, che spesso sfociò “in un gran numero di casi in prestazioni di aiuto attivo”. Secondo il comandante nazista, molti ebrei vennero avvisati dagli italiani, in alcuni casi nascosti nelle loro case e perfino un fascista in camicia nera si frappose fra gli ebrei e le SS, impedendo l’arresto di alcune persone. Altri riuscirono a fuggire e a nascondersi nel palazzo del gerarca fascista Achille Afan de Rivera Costaguti e di sua moglie Giulia Florio. La figlia di Achille e Giulia ricordò che il padre, sentendo le SS bussare violentemente alle porte del suo palazzo “si vestì di tutto punto. Indossò gli stivali e l’alta uniforme della milizia fascista. Aprì solo dopo parecchi minuti e con fare autorevole si mostrò infastidito, quasi offeso. Spavaldamente intimò loro di andar via e di non disturbare il sonno della famiglia di un gerarca”. I due sono ora Giusti fra le Nazioni.

Ma per un migliaio di ebrei la sorte non fu così benigna. 237 persone furono rilasciate, perché per i provvedimenti antisemiti del governo fascista risultavano “ariani” o “arianizzati” in quanto familiari di non-ebrei. Altri erano stranieri. Una donna cattolica invece non fece valere il suo diritto a non essere arrestata per non dover abbandonare un orfano che le era stato affidato da poco. Morì con esso ad Auschwitz insieme agli altri mille deportati. Alla fine della guerra, solo 16, quindici uomini e una donna, riuscirono a sopravvivere.

La razzia del Ghetto fu l’episodio più grave della persecuzione antisemita a Roma, ma non l’unico. Arresti e deportazioni continuarono, tant’è che nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine molte decine di fucilati erano ebrei. Nei mesi successivi, il Vaticano si adoperò per nascondere migliaia di israeliti con il consenso diretto del Papa. L’azione discreta, ma ferma, della Santa Sede consigliò le autorità naziste a desistere dal compiere altre azioni eclatanti per evitare la rottura delle relazioni diplomatiche, sebbene singoli arresti e deportazioni continuassero. Sul fatto che Pio XII avesse scelto la via della diplomazia anziché quella dell’urto con Berlino vi sono e vi sono state infinite polemiche, ma mentre è certo che quasi cinquemila ebrei furono salvati all’interno delle strutture della Chiesa, non si può dire quale sarebbe potuta essere la reazione dei vertici nazisti nel caso in cui l’etichetta diplomatica fosse venuta meno fra il Reich e la Santa Sede. Anche le autorità della RSI (che si era costituita da appena tre settimane) protestarono per la razzia del Ghetto, ma la loro debolezza nei confronti del prepotente alleato-occupante impedì che queste rimostranze ottenessero risultati. Sfortunatamente invece, accanto gli episodi di attiva resistenza alle azioni delle SS che abbiamo visto, vi furono in seguito anche atti di collaborazionismo da parte di fascisti che erano convintamente antisemiti ma anche di semplici cittadini e perfino di alcuni delatori ebrei (famigerata la storia di Celeste Di Porto, fra le altre), che speravano così di ottenere vantaggi personali dalla sorte a cui inviavano le loro vittime.

L’ottantesimo anniversario di questa triste data cade proprio mentre di nuovo sembra dover assistere a scene analoghe: gente innocente chiusa in un ghetto, assediata, ricattata, catturata e deportata da un nemico implacabile e arrogante. Gli oltre duemila ebrei romani catturati e uccisi dai nazisti negli otto mesi d’occupazione si sommano al terribile tributo di sangue offerto da Roma durante la Seconda guerra mondiale: i settemila e più cittadini uccisi dai bombardamenti terroristici degli angloamericani, gli ostaggi fucilati dai tedeschi e dai fascisti, culminato con l’olocausto dei 335 assassinati alle Ardeatine, le vittime della guerra civile trascinatasi anche dopo la fine dell’occupazione tedesca. Tutti morti causati dall’imbarbarimento dell’Europa, dalla fine di secoli di civiltà giuridica, filosofica e religiosa che avevano cercato di limitare i disastri causati dalle guerre. Dopo tanti sforzi invece si era tornati a considerare i nemici non come esseri umani, ma come animali da cacciare e uccidere quasi per divertimento. Nel XXI secolo, dopo tanta esperienza, tanta memoria, tante lacrime non abbiamo il diritto di non tener conto di questi anniversari per fare i conti col nostro presente miserabile. La storia ci giudica.

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