Almerigo Grilz, storia di guerre civili

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Almerigo Grilz - fonte ilgiornale.it

“Guerra civile” è il leitmotiv che attraversa tutta la vicenda di Almerigo Grilz, il primo reporter di guerra italiano caduto dopo il 1945 e ora finalmente ricordato da un premio a suo nome, da un documentario sulla sua tomba e da un film sulla sua vita, atteso nelle sale dal 3 luglio.

Guerra civile perché – come ha spiegato Fausto Biloslavo in coda alla presentazione, lo scorso 25 giugno, nel Senato della Repubblica – del documentario realizzato insieme a Gian Micalessin e Davide Arcuri, la grande lezione che viene dalla vicenda di Almerigo Grilz è che uscire dalle guerre civili si può. Grilz nel 1987 cadde proprio durante un conflitto intestino, quello del Mozambico che dopo la decolonizzazione vide i governativi contrapporsi ai marxisti del Frelimo. Un bagno di sangue costato ben un milione di vite. Almerigo, durante uno scontro fra le due fazioni, mentre riprendeva la precipitosa ritirata dei guerriglieri, fu colpito da una pallottola alla nuca. L’orribile scena rimase impressa nella sua cinepresa, il cui obbiettivo improvvisamente roteò fuori inquadratura per poi finire orizzontale a riprendere i piedi del giornalista ormai esanime. Una scena più volte mostrata nel documentario che Biloslavo e Micalessin hanno fortemente voluto per ricordare quello che per loro era un “fratello maggiore”, il capostipite di una stirpe di inviati e reporter di guerra.

Molti anni dopo la morte di Grilz, grazie alla fine della guerra civile mozambicana (evento a cui contribuì anche la missione militare italiana, il cui nome – Albatros – è significativamente lo stesso dell’agenzia di corrispondenze estere fondata dal reporter triestino) Biloslavo e Micalessin hanno potuto ritrovare il luogo di sepoltura del loro “fratello maggiore”. La memoria storica locale l’aveva preservata, pur senza una lapide. Solo il luogo: un albero.

E in quel luogo i due rappresentanti delle fazioni allora in guerra – oggi capivillaggio in pace fra loro – si sono presentati con le loro uniformi durante l’apposizione di una targa a lungo attesa, sulla tomba di Grilz, per rendere omaggio a quell’uomo bianco che 38 anni fa qualcuno aveva portato a braccia dal campo di battaglia perché fosse sepolto. Una cerimonia commovente, in onore degli Spiriti, con cui gli ex nemici, sepolta la guerra civile, hanno voluto rendere omaggio all’italiano là sepolto, in quanto coraggioso testimone dello scontro che li aveva visti su due fronti diversi. E proprio per questo, anche lui un mattone della pace che li rinsalda oggi.

E se Almerigo Grilz viene ricordato dagli ex nemici mozambicani rappacificati, in Italia c’è ancora ostilità. Lo ricordano sia Biloslavo che Micalessin e Ignazio La Russa, padrone di casa della serata: Grilz aveva il torto d’essere missino, in un’epoca in cui ancora avere la tessera con la “fiamma” significava uno stigma.

Così per decenni – e tuttora – l’Ordine dei Giornalisti triestino ha rifiutato di apporre una targa in ricordo di quel coraggioso reporter caduto, come invece per tanti altri, caposcuola ed esempio per tantissimi giornalisti di gran razza. E il motivo è che in Italia, invece, la guerra civile non è mai veramente finita. O meglio, non è finita perché oggi non ci sono più veterani che si stringono la mano, fra guerrieri coraggiosi, come i capivillaggio mozambicani, ma cosplayer che si travestono da scemi di guerra in tempo di pace, e si danno delle arie da guerrigliero. La solita foga guerresca di chi non ha neppure mai preso uno schiaffo in una rissa da pub.

Così la figura di questo grande giornalista – che La Russa ha ricordato come in grado di restare delle sue idee ma senza mai metterle all’interno dei suoi reportage, a doppia medaglia di coerenza ideale e coerenza professionale – oggi è ricordato solo da una metà del paese. Ci sia concesso dirlo, però, dalla metà migliore, quella che, se davvero ci fosse volontà di chiudere con questa muffa guerra civile, sarebbe la prima a tendere la mano.

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