Hanno due nomi in inglese – ahinoi – le prime due sfide che si parano davanti al neo-ministro della Cultura Alessandro Giuli. Ancora fresco l’inchiostro della sua nomina e già le sinistre stanno affilando le armi per la guerra a quel ministro che più d’ogni altro può andare a intaccare le loro rendite di posizione in Italia.
Così, come da copione, contro Giuli si sta preparando la macchina della cancel culture, la “cultura della cancellazione”. Il meccanismo, per chi non fosse addentro ai bizantinismi di questi rituali della politica 2.0, è quello di un linciaggio in rete, il cui scopo finale è ottenere, per l’appunto, la “cancellazione” della vittima.
Il mezzo con cui ciò si realizza è l’edizione aggiornata e corretta dei “processi politici” di epoca maoista, quando i dissidenti o gli oppositori venivano trascinati in piazza, sottoposti a requisitorie violentissime (tanto che qualcuno ci rimetteva la pelle prima d’arrivare a sentenza), condannati (ça va sans dire…) e quindi costretti a recitare lunghe e lamentose dichiarazioni di “scuse”, “pentimento” e richieste d’essere puniti nell’interesse generale.
Nell’era dei social tutto ciò avviene in rete. La moda è nata su Twitter, quando la piattaforma era il santuario della sinistra più radicale degli Stati Uniti. Si sceglie la vittima, si scava nel suo passato social, si cercano frasi “inappropriate” e “offensive” secondo la morale wokeista, e si inizia una campagna di “character assassination”, omicidio del suo personaggio pubblico. Quindi si invoca il boicottaggio, la richiesta di dimissioni o il suo licenziamento. Il risultato è devastante per la vittima, che per minimizzare i danni è costretto a precipitose ritirate, pubbliche dichiarazioni di contrizione, atti riparatori. I più fortunati se la cavano con un prudente giro “in panchina”, i più sfortunati vengono abbandonati da amici, referenti politici, soci, collaboratori e perfino coniugi. Le legioni di wokeisti assetate di vendetta spesso non si fermano fino alla rovina totale della loro vittima.
Contro Giuli questo ingranaggio si sta già mettendo in moto, basta una rapidissima ricerca su X per collezionare un centone di possibili “capi d’accusa” secondo l’orda giudice-giuria-boia wokeista, che costituisce già un argomento sufficiente per insaponare la corda.
La buona notizia in questo panorama è che la cancel culture in realtà è una tigre di carta. Funziona e ha funzionato solo quando la vittima e l’ambiente che lo circonda si fa ipnotizzare dalla presunta superiorità morale degli accusatori e ne condivide intimamente gli argomenti. Ma una tigre di carta è solo apparentemente terribile: l’argomento principale degli wokeisti è che il loro nemico li ha “offesi” e che è “inappropriato” secondo la loro morale personale. Basta – letteralmente – fregarsene, ostentare il proprio buon diritto a petto in fuori e la tigre cessa di ruggire e basta un soffio per farla finire con le altre cartacce. Detto così sembra facile, vero?
E non lo è.
Come dimostra il secondo scoglio che attende la nave del neo-ministro, quello dell’establishment culturale e della sua doppia morale. Ne scrive con intelligenza Alessandro Nardone su “La Voce del Patriota” del 7 settembre. L’egemonia culturale di cui gode il fronte liberal in Italia consiste essenzialmente nella possibilità di imporre all’agenda pubblica su tutti i media la propria doppia morale: le regole si applicano per i nemici e si interpretano per gli amici. L’avversario è sempre sotto la spada di Damocle della “irricevibilità” delle sue affermazioni o della sua stessa persona che vengono decise da arbitri, tutti cornutissimi, che hanno già la sentenza scritta in tasca. È qui che si innesta la prassi della cancel culture.
La soluzione non è dietro l’angolo, spiega Nardone. Occorre non contrastare il mainstream, ma farsi mainstream. Andare a sostituire il nemico isolando i suoi fortini culturali, creandone di nostri più potenti e con armi a tiro più lungo. Questo rivelerà la natura cartacea delle tigri della sinistra e libererà tutti gli uomini fuori dal loro “salotto buono” (compreso il governo) dalle loro minacce.
Giuli insomma dovrà affrontare questi due scogli. Potrà navigare accortamente fra di loro, come Ulisse fra Scilla e Cariddi, e uscirne con abile manovra. Ma potrà anche decidere di andare al contrattacco, con una rischiosa, ardita, futurista operazione da… guastatore. Minare quei due scogli e farli saltare in aria riducendoli in briciole. Così che la navigazione nelle acque culturali dell’Italia sia una volta e per sempre, finalmente, libera.