Alle città-franchising non sono mai piaciuti i simboli identitari

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opera: Fabio Giampietro, serie HPS, 2020

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Il territorio che abitiamo non è solo la terra che calpestiamo e le vie che attraversiamo ma è il codice di accesso alla realtà, la piattaforma anche simbolica delle nostre esistenze. La città è un mosaico emozionale di “Alti Luoghi”, come li definisce il sociologo francese Michel Maffesoli, ossia posti che hanno un valore simbolico e che divengono dei totem intorno ai quali si raccoglie una tribù di individui, una comunità, e che ne istituisce l’identità: Chiese, Piazze, Monumenti, Giardini. Ogni angolo delle città è una ruga che il tempo ha lasciato come segno indelebile del suo vissuto. I custodi della “verità” e del mondo dei migliori, ovviamente i progressisti, alimentano nel presente una nuova idea antistorica: è necessario bonificare i luoghi, e non solo le menti, da tutto ciò che può ricordare o rimandare a periodi storici nei quali non vigeva la loro attuale visione del mondo. Alcuni esempi di tale barbarie ideologica sono l’abbattimento della statua del generale Franco a Madrid, le proteste per rimuovere dal campus dell’Università della California e dalla piazza di Barcellona le statue del “genocida” e “oppressore” Cristoforo Colombo, i deliri di alcuni politici italiani che hanno prospettato l’eliminazione dei monumenti riconducibili all’epoca fascista. Tale chirurgia architettonica mira a trasformare il volto delle città, evirandole dei simboli “scomodi” o nascondendo i medesimi. Il tessuto urbano è stato già in gran parte riconvertito in un grande contenitore delle aziende e delle multinazionali più famose, sancendo la nascita delle città-franchising. Attraversando alcuni quartieri delle capitali europee regna la sensazione di poter essere ovunque: un contesto urbano deculturalizzato e innervato invece dalle immancabili e democratiche piste ciclabili, nuova forma ideologico-progettuale di tale visione asettica. Nel progetto della città a misura dei desiderata progressisti si erge però come errore del “sistema” la periferia: è un luogo invisibile, perché estromesso dalle attenzioni della politica, abitato per tale motivo da coloro che possiamo definire gli invisibili, i dimenticati dalle élite. Tale motivo rende la periferia un osservatorio da cui scrutare le urgenze che vengono occultate nel centro delle città grazie allo splendore dei consumi. Sono il retroscena carnale della teatralità artificiale che è incarnata dal Centro. Ma è proprio nelle periferie, e nella nuda vita che le abita, che risiede l’antidoto alla violenza progettuale dei profeti senza memoria. Gli invisibili che le abitano, con le loro scelte politiche, sono una nemesi obliqua che irride i loro risanamenti estetici con la verità di un popolo cui potranno resettare la memoria e ogni radice territoriale e identitaria, ma non silenziare l’urlo esistenziale.

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