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L’umanesimo non è solo un tempo storico. L’umanesimo, ora come agli inizi del XIV secolo, è un luogo che vede protagonista ancora una volta il nostro Paese e i suoi territori, culla eletta dove l’impresa, le istituzioni, le università possono trovare spazi originali di collaborazione, generare innovazione sociale e tecnologica. È questo, in sintesi, il messaggio più forte di Il mestiere dell’uomo (Luiss University Press, collana Bellissima,147 pagine, 16 euro) di Marco De Masi. Il libro è un saggio che, al ritmo e con la grazia del romanzo, collega punti lontani della nostra storia (letteraria e d’impresa) in maniera originale, credibile, mettendo a confronto gli insegnamenti di dieci umanisti con le innovazioni di altrettanti imprenditori e manager: Brunello Cucinelli e Coluccio Salutati, Andrea Pontremoli e Alfonso V d’Aragona, Sonia Bonfiglioli e Vittorino da Feltre, Maximo Ibarra e Leon Battista Alberti, Massimo Mercati e Pico della Mirandola. L’autore è un italianista ed un manager di Boston Consulting Group. Sotto il duplice punto di vista del letterato e del consulente, il nostro Paese assume improvvisamente aspetti nuovi, diventa un luogo dove è possibile che aziende in concorrenza tra loro trovino, partendo dal tessuto sociale e territoriale in cui sono collocate, anche spazi di collaborazione per diventare più competitive e sostenibili. La riflessione e l’auspicio che questo libro ci consegna è che i saperi umanistici e scientifici si fondano per generare sistematicamente innovazione. Il libro è la storia affascinante del futuro possibile dell’Italia, raccontata nel momento in cui ne abbiamo maggiormente bisogno.