Come far sopravvivere l’arte ai tempi dei nuovi media

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Ph Oscar Covini

Nel panorama dei critici e curatori artistici internazionali, Marco Eugenio Di Giandomenico è tra le personalità più interessanti, soprattutto in tema di valorizzazione delle “belle arti” italiane e di selezione di talenti tra le nuove generazioni.

Scrittore, teorico dell’”arte sostenibile”, economista dell’arte e della cultura, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, da più di un ventennio promuove iniziative culturali e artistiche in Italia e all’estero, con un’attenzione particolare ai territori del Bel Paese, alle loro risorse identitarie, privilegiando gli artisti emergenti nell’idea che il futuro dell’umanità dipende dalla capacità e dalla possibilità di espressione dei giovani.

Cosa intende per “arte sostenibile”?
Il concetto di “sostenibilità” nasce nella seconda metà del secolo scorso soprattutto con riferimento a istanze eco-ambientali, in un momento storico in cui emergono nuove consapevolezze sociali circa i rilevanti danni al pianeta provocati dallo sfrenato sviluppo economico post seconda guerra mondiale. Le risorse naturali non sono più scontate e come ci comportiamo oggi impatta sulla qualità della vita delle generazioni future.
Negli ultimi vent’anni tale concetto diventa una categoria espressiva ed ermeneutica dell’arte contemporanea, la quale oggi più che mai ricerca una sua nuova identità nell’epoca dello sviluppo incessante delle nuove tecnologie.
“Sostenibile” è un’arte che sopravvive ai new media, riuscendo a mantenerli “strumento” e non “fine” dell’attività creativa, è un’arte che si fa portavoce di messaggi di edificazione sociale, in cui è sancito il binomio “bello/buono” in termini aristotelici.

Qual è la sua formazione? Si ritiene un critico eclettico?
Dopo la maturità classica, mi sono laureato in economia e ho svolto studi accademici in filosofia, teologia e storia dell’arte. Ho insegnato presso l’Università di Firenze e il Politecnico di Milano. Attualmente sono docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e intrattengo collaborazioni didattiche e scientifiche con varie istituzioni culturali in Italia e all’estero.
Circa l’eclettismo, se tale termine è riferito al mio interesse nei confronti delle variegate modalità espressive dell’arte contemporanea, posso definirmi senz’altro un eclettico.

Ph Oscar Covini

Sul web appare nei più esclusivi eventi mondani e testimonial di brand di moda: come coniuga queste attività con quelle legate all’arte?
Sono contento di questa domanda, in quanto mi dà l’occasione di esprimere alcune mie opinioni in merito.
Negli anni ottanta, a poco più di vent’anni, durante il periodo universitario, sono stato per breve tempo top model. Un’esperienza entusiasmante e illuminante, che considero basilare per tutta la mia successiva attività accademica e professionale.
Lavorare nella moda può fornire tanti valori aggiunti. Si impara a conoscere il proprio corpo, a vincere le proprie paure, a favorire uno sviluppo equilibrato della propria personalità, a instaurare un link empatico con chiunque si venga a contatto, e soprattutto a “sedurre”, a piacere al prossimo, aspetto fondamentale di ogni attività che presupponga un rapporto con gli altri.
La mia famiglia, di lontane origini austriache, è da decenni composta da medici, giuristi e professori di lettere classiche, quindi ho ricevuto un’educazione rigida, attenta ai cosiddetti “valori veri”. Ho strumentalizzato questa esperienza nella moda per valorizzare alcuni aspetti della mia personalità e per gestire alcuni limiti caratteriali.
Molti giovani, meno fortunati, diventano parte lesa del mondo del fashion, non riescono a “cavalcarlo” positivamente, ne rimango travolti inevitabilmente.
Ho sempre pensato che questa mia breve esperienza, che non ho mai preso sul serio da un punto di vista di “ruolo”, è fondamentale anche nelle mie attività nel mondo dell’arte. Mi ha aiutato a interfacciarmi con gli artisti, a collegarmi spiritualmente ed energeticamente con loro, a sintonizzarmi con la loro umanità e con la loro creatività.
Rigetto qualunque stereotipia di ruolo. Conosco alcuni colleghi critici che adottano cliché comportamentali e mediatici oramai obsoleti, rifuggono le nuove tecnologie, mortificano la loro presenza estetica, nell’idea che chi si occupa di arte debba “odorare” di biblioteca, di “povertà” mediatica, di argomenti “seri” che non possono che essere partoriti nel silenzio di un isolamento un po’ snob.
Ritengo che, soprattutto oggi, non si possa svolgere una reale attività di promozione dell’arte contemporanea, se non ci si immerge totalmente nell’umanità fisica e virtuale della nostra epoca, se non ci si sintonizza con il “battito” di una società in rapidissima trasformazione proprio grazie ai new media.

Lei è anche scrittore. Il suo ultimo libro “La follia di Oreste” sembra molto originale ed entusiasmante
Collaboro con le principali testate nazionali d’arte e spesso scrivo monografie in cui cerco di approfondire alcuni aspetti dell’arte contemporanea.
Durante la pandemia ho scritto, insieme al mio amico Giacomo Maria Prati del MIBACT, il libro dal titolo “La follia di Oreste”. Un’iniziativa che mi ha coinvolto molto culturalmente, in quanto mi ha dato l’occasione di esprimere il mio pensiero sulla deriva dell’uomo del terzo millennio nell’epoca dello sviluppo spasmodico delle nuove tecnologie.
Un libro che forse non avrei scritto in un’altra situazione. Penso che il Covid non abbia solo risvolti negativi, ma può essere un grande motore di importanti lavori creativi.

Cosa consiglierebbe a un giovanissimo artista?
A un giovanissimo artista consiglierei di amare, vale a dire amare la vita, il prossimo, il pianeta, la Bellezza in ogni sua forma di manifestazione.
L’amore presuppone una relazione con l’Altro, da cui emergono consapevolezze, stimoli, output culturali.
C’è vera arte solo se si fa dono di se stessi, e deve essere un dono gratuito, la cui valorizzazione economica diventa una conseguenza ineludibile, non un punto di partenza, bensì un naturale punto di arrivo.
L’egoismo può produrre output estetici, anche di pregio, ma alla fine implode su se stesso.
Spesso si confonde il ruolo dell’economia nell’arte. Quando si produce un “valore”, l’economia aiuta a comunicarlo. Spesso si assiste a “non valori”, che i meccanismi di marketing riescono a far percepire come “valori”.
L’arte è una “cosa seria”, accoglie tutti inizialmente, ma poi tiene con sé solo chi ha in se stesso realmente il “sacro fuoco”, chi è medium rivelatore di Bellezza.
L’arte non mente.

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