L’8 marzo, al di là della stucchevole retorica che sempre accompagna le giornate dedicate a qualcosa, dovrebbe ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne e sensibilizzare rispetto alle discriminazioni di cui spesso sono ancora vittime. A questo proposito la rete femminista Non Una di Meno a Firenze, e in tutte le città italiane, lancia per il terzo anno consecutivo lo “sciopero delle donne”, formula dietro alla quale si nasconde un attacco politico pretestuoso e decontestualizzato.
Che la nuova tendenza del femminismo 2.0 sia quella di essere “intersezionale” non è un mistero: “Vogliamo combattere ogni forma di sessismo nei suoi intrecci con gli altri sistemi di dominio quali il razzismo e il capitalismo, su cui si strutturano quelle stesse gerarchie che pretendono di distinguerci in migranti e cittadin@”. Se non fosse chiaro: “Scioperiamo contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere in tutte le sue forme. La violenza patriarcale è un fatto, è un bollettino di guerra. Noi non vogliamo essere vittime di questa violenza. Insieme a milioni di donne e alle soggettività LGBPT*QIA+ nel mondo noi scioperiamo!”. E ancora: “Le politiche contro donne, lesbiche, trans*, la difesa della famiglia patriarcale e gli attacchi alla libertà di abortire vanno di pari passo con la guerra aperta contro le migranti e i migranti. Patriarcato e razzismo sono l’altra faccia di un’intensificazione dello sfruttamento senza precedenti. Padri e padroni, governi e chiese, vogliono tutti rimetterci al nostro posto”.
Isterismi da Santa Inquisizione a ruoli ribaltati, dove le nuove “streghe” sono gli uomini predatori, molestatori seriali e potenziali stupratori ed esaltazione delle “gender theories” secondo cui l’appartenenza sessuale è una sovrastruttura culturale: non esistono maschi e femmine ma “generi fluidi”, per questo le neo femministe fanno largo uso dei simboli @ e *. È evidente quanto tutto ciò sia molto lontano dalle conquiste che si devono (anche) ai movimenti originari. Non Una di Meno si scaglia contro l’ascesa delle destre “reazionarie”, contro il disegno di legge Pillon su separazione e affido, che difende la “famiglia e le sue gerarchie” e ovviamente contro il decreto sicurezza di Salvini, che “impedisce alle migranti e ai migranti ogni possibilità di autonomia, mentre legittima la violenza razzista”. Ma ne hanno anche per i 5stelle e il reddito di cittadinanza che “ci costringerà a rimanere povere e lavorare a qualsiasi condizione e sotto il controllo opprimente dello Stato”. Questo, per coloro che si autointestano la titolarità di parlare a nome di tutte le donne sarebbe il significato da attribuire all’8 marzo, un potpourri di temi e istanze totalmente scollegati fra loro, un delirio senza né capo né coda in cui si mescolano slogan, inesattezze, sterili polemiche, odio politico ad personam e furore ideologico. Fiera di essere donna e non femminista.
Laura Tecce