Ecco il vero significato della stella cometa che guidò i Re Magi a Betlemme

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The Adoration of the Kings

Nel vangelo di Matteo (2,1-2) è scritto che alcuni Magi vennero da Oriente a Gerusalemme guidati da una stella: «dicevano “Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”».

Molte sono le teorie per identificare la stella apparsa ai Magi. La più accreditata è che si sia trattato di una congiunzione Giove-Saturno accaduta intorno al 6 a.C., un fenomeno raro e appariscente, anche se non eclatante, che si è straordinariamente ripetuto il 21 dicembre 2020 (non accadeva da svariati secoli).

Del resto il termine greco dei vangeli è aster e indica un fenomeno celeste, non una cometa.

E’ un’ipotesi che è stata avanzata per prima nel 1614 da Keplero, il grande astronomo tedesco. Alcuni documenti antichissimi, come l’Almanacco stellare di Sippar e la Tavola Planetaria di Berlino, in cui sono registrati movimenti e congiunzioni astrali di quegli anni, stanno a suffragarlo.

Ma accertato questo resta che la stella, ossia il fenomeno esteriore, avrebbe potuto (e potrebbe) muovere solo chi fosse già stato toccato interiormente dalla speranza di un nuovo regno fondato non “sulla forza, sull’imposizione, sulla violenza e l’intolleranza, ma solo sulla fede e sull’amore” (Ratzinger).

Si capisce allora che la stella significa metaforicamente quei valori evangelici che sono opposti a quelli del mondo (potere, egoismo, edonismo, materialismo) e che, per questo, allarmano i potenti (Erode).

Il fatto è che i cristiani veri, non quelli ipocriti né tanto meno quelli tiepidi, sono scomodi, perché rifiutano l’omologazione all’ideologia di regime, laddove s’impongano governi autoritari e oppressivi. Rifiutano altresì l’omologazione al politically correct, con tutto quanto questo comporta (aborto, ideologia del gender, scientismo, efficientismo e dittatura del mondo finanziario) nei moderni sistemi liberali dell’Occidente.

Contraddicono infine le prescrizioni di un fondamentalismo islamico, che, al pari delle ideologie del secolo scorso, vorrebbe sottomettere le coscienze ed imporre un unico credo, un’unica Legge.

I cristiani veri – si legge nella Lettera a Diogneto, il primo catechismo della Chiesa, risalente al II secolo – «Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro tenore di vita vanno molto al di là. Amano tutti e da tutti vengono perseguitati. Non sono capiti, e vengono condannati; sono messi a morte, e ne ricevono vita».

Ma c’è un motivo ancora più profondo: i cristiani si oppongono a tutto quanto pretenda di catturare le coscienze (ideologie, tv, moda, morale corrente, cultura dominante etc.). Il loro punto di riferimento ultimo è Dio. Anche l’Islam è fondato sull’obbedienza a Dio, ma vi domina la Legge (la Sharia), non la Grazia, volendo parafrasare quanto Paolo scriveva nella Lettera ai Romani.

La Legge è quel coacervo di precetti e di culto che fanno l’apparato religioso, cui corrisponde la Sharia nel mondo islamico, che risponde al proposito di informare la vita sociale ai principi religiosi del Corano. Ora, il fondamentalismo, pur animato dalla volontà di tornare ai fondamenti religiosi, incorre – come ha osservato Bruno Forte – nell’ipocrisia degli scribi e dei farisei “che si ferma all’esteriorità, trasgredendo le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà”; ma che poi quelle stesse “snatura, fino a rovesciarle nel loro contrario”, perché gli manca la Grazia dell’amore.

Il baricentro della fede cristiana invece non è in un’idea e nemmeno in un culto religioso, ma “in un rapporto personale con qualcosa di personale (…), sostanzialmente con la personalità della vita e della parola di Gesù” (così Ferdinand Ebner, filosofo austriaco morto nel 1932). Ciò comporta la supremazia della coscienza, non intesa però né nel senso astratto ed ipostatizzato delle ideologie (la coscienza di classe, lo spirito della nazione) né nel senso individualistico e nichilistico della cultura liberale di oggi, ma come tempio interiore in cui l’uomo può rivolgersi a Dio e appellarlo direttamente come Padre. La coscienza, quindi, come luogo della relazione profonda fra Dio e l’uomo e come luogo delle relazioni autentiche che colorano di umano la vita.

Perché, come dice un detto napoletano, “si può campare senza sapere perché, ma non si può campare senza sapere per chi”.

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