La più nota eruzione del Vesuvio è senza dubbio quella del 25 ottobre del 79 d.C. Descritta da Plinio il Giovane in due famose lettere a Tacito, preziosi documenti per la vulcanologia. Tanto che far prendere il nome pliniane le eruzioni particolarmente violente e distruttive. In epoca romana il Vesuvio era considerato una montagna. Alle sue pendici sorgevano fiorenti città, che si erano sviluppate grazie alla fertilità dei luoghi. Nel 62 d.C. l’area fu colpita da un forte terremoto, che provocò il crollo di molti edifici e produsse ingenti danni.
L’eruzione avvenne nel primissimo pomeriggio del 24 ottobre con l’apertura del condotto a seguito di una serie di esplosioni. Subito dopo una colonna di gas, cenere, pomici e frammenti litici si sollevò dalla bocca del vulcano per circa 15 chilometri.
La più illustre vittima del disastro fu Plinio il Vecchio, zio e padre adottivo di Plinio il Giovane, naturalista e comandante della flotta romana a Miseno, che si mosse, dai Campi Flegrei, per recare aiuto e osservare da vicino il cataclisma: ospite a Stabia dell’amico Pomponiano, da cui si era rifugiato in cerca di riparo, morì asfissiato dopo aver respirato gas velenosi per essere rimasto troppo a lungo a osservare il fenomeno dell’eruzione.
Questa fase dell’eruzione del Vesuvio, accompagnata da frequenti terremoti, durò fino al mattino successivo. Ma il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione totale dell’area di Ercolano, Pompei e Stabia.
La devastante eruzione del 79 d.C. non solo provocò la distruzione delle tre città, ma portò anche a una perdita inestimabile di vite e cultura. Le stime indicano che migliaia di persone perirono in quella catastrofe. Per lungo tempo, l’area interessata rimase sepolta sotto la cenere vulcanica, ignorata e dimenticata dal mondo esterno, che vi ricostruì sopra nuovi centri urbani.
Ciò che era stato sepolto, invece fu riscoperto solo nel XVIII secolo: questi siti sono riemersi dall’oscurità, rivelando al mondo una straordinaria quantità di informazioni sulla vita quotidiana degli antichi romani. Le sculture, i dettagli architettonici, gli affreschi e i reperti di vita quotidiana forniscono un affascinante spaccato di una civiltà al suo apice.
Oggi, Pompei, Stabia ed Ercolano sono patrimonio dell’umanità e luoghi simbolo della resilienza e della memoria storica.
Nonostante la ricchezza culturale e la bellezza di un epoca conosciuta, non si è esitato a costruire laddove la logica e il buon senso l’avrebbero sconsigliato, compreso i continui condoni permessi. A partire dagli anni Cinquanta, c’è stata la cementificazione in tutta l’area del vulcano, palazzine e villette, alberghi e ristoranti affondano le fondamenta sulla falda traballante del Vesuvio, gli ospedali sorgono sulle conche laviche.
Eppure i vulcanologi hanno sempre affermato che non esiste al mondo una località a più alto rischio vulcanico come quella del Vesuvio, e pure nel tempo l’abnorme concentrazione edilizia si è spinta fino a poche centinaia di metri dal cratere.