Gabriele Cirilli: “La forza che ti dà la provincia, te la porti dietro”

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Parla il comico abruzzese reduce da un’estate di successi nelle piazze di provincia e al Festival Città Identitarie

Dalle solide radici abruzzesi a Zelig, fino alla consacrazione di Tale e Quale Show: Gabriele Cirilli racconta a CulturaIdentità il suo rapporto con la provincia dove è nato, che gli ha trasmesso i valori e la forza per poter inseguire il successo.

Sei appena stato ospite a Loano, sul palco del Festival delle Città Identitarie, ideato e diretto da Edoardo Sylos Labini. Qual è il tuo legame con la Liguria?

La Liguria mi ha dato sempre tanto calore. Ricordo di aver fatto diversi spettacoli, quando non ero ancora popolare. Anche Loano mi ha ospitato nei primi anni di Zelig, quando ancora non era un programma televisivo ed era molto legato alla comicità. Nel tempo, poi, la Liguria mi ha confermato questo affetto. Poi conosco Edoardo da trent’anni, da quando era ‘completamente’ attore: è riuscito e riesce tuttora a fare giornalismo, comunicazione, presentazioni, cultura a tutto tondo. Questa cosa mi ha colpito e ha rafforzato la nostra amicizia.

Quanto sei legato alle tue origini abruzzesi e al territorio dove sei nato?

Mi vanto di essere abruzzese e con sangue emiliano, da parte di mia madre. Sono legatissimo alla mia terra, ho casa a Sulmona e, anche se vivo in Toscana, ho creato nella mia regione d’origine la mia scuola di recitazione, la Factory di Cirilli: ogni mese faccio 600 km per fare la mia settimana di scuola in Abruzzo.

In che modo la provincia ha influito sulla tua formazione e sul tuo modo di fare comicità?

La provincia è stata ed è ancora molto forte in me, per la mia professionalità e per quello che faccio. Certo, non bisogna negare che ci sono tante difficoltà: la provincia ti tiene lontano dai centri importanti dove vai a fare spettacolo. Se vuoi avere successo devi andare fuori, ci torni magari quando diventi famoso; ma se vai fuori con quei valori, quelle radici e quell’identità che la provincia ti ha dato, si crea un carattere forte per poter affrontare questo lavoro, che è durissimo.

Quindi la provincia ti ha fortificato?

Assolutamente sì. La provincia dà e toglie, perché non è che lì riesci a realizzare i tuoi sogni. Soprattutto in Abruzzo, una regione che non arriva a 2 milioni di abitanti, quanti ne fa solo la città di Napoli. Nascere in una regione così ti può togliere, ma ti può dare… perché la forza che ti dà la provincia abruzzese te la porti dietro.

La tua è una comicità più tradizionale, potremmo dire più italiana. Negli ultimi anni è esploso il fenomeno della stand up comedy, di derivazione statunitense. Che ne pensi?

La stand up comedy? Significa mettersi in piedi su un banchetto e lamentarsi. È un modo di fare satira sociale, politica, di costume… è quella che facciamo noi comici. Per renderla un po’ diversa da quella che è sempre stata, da quarant’anni a questa parte – ricordo che già Robin Williams la faceva – si sono “inventati” la volgarità. Se non sei volgare, non fai stand up. Se non parli di omosessualità o di preti in un certo modo, allora non fai stand up.

Quindi non si sono inventati niente?

Assolutamente nulla, se non il linguaggio volgare.

Abbiamo una grande tradizione di comici italiani, di mostri sacri… c’è qualcuno a cui ti ispiri?

Mostri sacri è una parola importante, tra i comici italiani non ce ne sono ma nel mondo dello spettacolo sì: l’unico mostro sacro a cui mi ispiro è Gigi Proietti, che a noi allievi ha dato un’impostazione a 360 gradi. L’attore deve essere completo, quindi tuttora cerco di mantenere quell’impostazione: ballo, canto, comicità e drammaticità.

E se dovessi dare un consiglio ai giovani che vogliono intraprendere questa carriera?

Ai miei allievi dico che bisogna avere talento, è una cosa imprescindibile: è il talento che ti porta avanti. E poi tanto sacrificio, passione, fortuna – perché quella ci vuole in tutti i campi – e non dare retta troppo ai social: sono un mondo virtuale che serve per entrare nelle case o negli smartphone del pubblico, ma ti allontana dalla vera realtà. Di influencer ce ne sono un paio che hanno avuto dietro una squadra, non è che così all’improvviso si diventa Chiara Ferragni. Poi c’è qualcuno che si inventa un lavoro sui social: una volta si vendevano le enciclopedie o gli aspirapolvere porta a porta, questo è solo un altro tipo di vendita.

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1 commento

  1. “Non preoccupatevi troppo per il domani: ci pensa lui, il domani, a portare altre pene. Per ogni giorno basta la sua pena” (Matteo 6:34, Parola del Signore)”.
    Da qualche altra parte invece si legge: “Firenze, immigrati massacrano disabile. Un breve estratto: “Nella notte tra venerdì e sabato l’ennesimo episodio di violenza. Un ragazzino di 17 anni preso a calci e pugni. Da un gruppo di marocchini. Un ragazzo amato da tutti perché buono e gentile. Un giovane che ha una disabilità psichiatrica evidente e che è solito ascoltare la musica con le sue casse bluetooth. Delle quali è gelosissimo. La banda di africani, che da mesi rende difficile il quotidiano delle Case Minime (il nome col quale comunemente viene chiamata la zona incriminata) pretendeva che quelle casse venissero regalate loro. Al fermo rifiuto del ragazzo, i clandestini l’hanno massacrato di botte. Senza alcuna pietà. Il diciassettenne ha iniziato a urlare e il rione ha reagito”.
    … e come sempre la magistratura sarà molto comprensiva. Ma solo verso i cosiddetti migranti. Sentenzierà, facendo copia e incolla di altri analoghi giudizi che è nel loro comune modo di vivere, e contro quell’atavica eredità niente si può fare. E così il disabile, come tutti i disabili di questo incivile Paese, ancora una volta sarà messo all’angolo. In quanto a questa gente illegalmente arrivata, e illegalmente pascente a spese della comunità, continuerà, indisturbata, a portare avanti i propri desiderata. Con la Schlein e la Boldrini che per sfuggire al loro cono d’ambra promuovono iniziative pro-Ong. Nel prosieguo di quel comune abbraccio che sprigiona antitalianismo da tutti i pori. L’appuntamento è il giudizio degli elettori italiani è rinviato alle prossime elezioni europee. E siccome “non c’è speranza senza speranza di giustizia”, chi vivrà vedrà.

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