Questo è il racconto di un eroe, uno di quelli che iniziano una storia con in mano le carte sbagliate e un destino avverso contro, ma poi sono capaci di sconfiggere ogni ostacolo per liberare un popolo o una principessa. Uno di quelli che potremmo benissimo definire underdog, come Giorgia Meloni definì sé stessa. Ma nei corsi di scrittura e sceneggiatura, dove insegnano a creare storie e trame avvincenti, questo schema si chiama “il viaggio dell’eroe”.
Questo è il viaggio di Gigi Riva.
12 marzo 1963, il nostro viaggio inizia in un aereo, a bordo c’è la nazionale italiana juniores che il giorno dopo affronterà la Spagna allo stadio Flaminio di Roma. Affacciato al finestrino, un ragazzetto di appena 18 anni. Viene da Leggiuno, un paese che si affaccia sul Lago Maggiore.
Suo padre Ugo è stato prima parrucchiere, poi sarto, sopravvissuto alla guerra, non è sopravvissuto alla fabbrica, dove un pezzo di metallo staccatosi accidentalmente lo ha trapassato e strappato prematuramente alla famiglia. Anche la madre è mancata da qualche anno e quel ragazzo è rimasto solo con la sorella Fausta che gli fa da madre. Viene da duri anni in un collegio religioso e tanta voglia di scappare. Da quel luogo e da quella vita. Ha una sola carta in mano e la sta sfruttando: sa giocare a calcio. Ha iniziato nel suo paese e ora gioca nel Legnano, in serie C, l’anticamera per il professionismo. Si chiama Luigi Riva ma tutti lo chiamano Gigi.
Il volo prosegue tranquillo verso Roma, è sera e quel ragazzo nota qualcosa che lo incuriosisce. Indica fuori dal finestrino e domanda a un dirigente accanto a lui: ”Che terra è quella lì giù con poche luci?”. La Sardegna del ’63 non è quella di oggi della Costa Smeralda e degli yacht, è una terra che per chi non vi è nato può anche rivelarsi fredda e inospitale.
Gigi non la conosce ma fa una smorfia istintiva che tradisce un certo disappunto. Non sa che tra poche ore quella diverrà la sua terra.
Il giorno dopo in tribuna ci sono molti osservatori, pronti a cogliere le migliori opportunità dai giovani azzurri. Durante l’intervallo il dirigente del Cagliari Andrea Arrica contatta il suo collega del Legnano: “Voglio il vostro attaccante, Riva, vi offro 37 milioni di lire”. Nel secondo tempo Gigi segna il definitivo 3-2 per l’Italia e i 37 milioni diventano 50. Sono il rilancio che Renato Dall’Ara, presidente del Bologna, mette sul tavolo, ma ormai è fatta: Gigi Riva è del Cagliari e a breve si trasferirà in quella terra senza luci che aveva visto dall’aereo.
Città del Messico 17 giugno 1970, Stadio Azteca, Italia e Germania sono in campo per la semifinale dei mondiali.
Sono passati sette anni dall’arrivo a Cagliari di Riva. Dopo un inizio traumatico ora la Sardegna è casa sua: “La Sardegna allora non era la Costa Smeralda, l’Aga Khan, era il posto dove mandavano i carabinieri per punizione. Dall’aereo, sembrava di andare in Africa. Un aereo che non andava oltre i quattromila metri, viaggi da incubo. Sono arrivato a Cagliari massacrato dalla vita, incazzato, chiuso e anche cattivo, se mi toccavano reagivo” racconterà lui.
Riva è diventato per tutti GigiRiva, in una sola parola, il giornalista Gianni Brera l’ha ribattezzato Rombo di Tuono per l’esplosiva potenza del suo gioco. Sette anni di gol, prodezze e un carisma eccezionale hanno portato il Cagliari da metà classifica al primo e unico scudetto, conquistato in quel magico 1970.
Due anni prima Gigi ha conquistato anche il campionato europeo con la nazionale che ora sta cercando di guidare verso una finale che manca dal 1938. Le squadre sono ferme sul 2-2 ai tempi supplementari. E’ il minuto 104, il primo extra time sta per finire, l’arbitro Yamasaki controlla l’orologio, Rivera lancia il contropiede innescando Domenghini sulla sinistra. Cross al centro per Riva che fa tutto di sinistro. Controlla, disorienta Schnellinger, alza lo sguardo e fulmina il portiere Mayer con un rasoterra diagonale, più affilato di un rasoio.
Finirà 4-3 per l’Italia che pagherà la fatica arrendendosi in finale al Brasile di Pelè. Su un muro dello stadio ancora oggi è possibile trovare una targa con queste parole: ”Lo stadio Azteca rende omaggio alle nazionali di Italia e Germania, protagoniste della partita del secolo”.
Su Riva convergono inevitabilmente le attenzioni di grandi squadre come Juventus e Inter, che al timone hanno industriali come Gianni Agnelli e Angelo Moratti. Auto e petrolio, soldi, gloria e vittore, questo significa passare a giocare con loro. Ma il 1 febbraio 1976 allo Stadio Sant’Elia Gigi è ancora in Sardegna, in campo con la sua maglia rossoblu, ormai una seconda pelle. E’ l’ultima giornata del girone di andata, sono in campo Cagliari e Milan. Il Cagliari non è più quello dello scudetto ma i gol di Riva ancora lo mantengono a buoni livelli. Al 50’ Riva, durante un’azione spalla a spalla con il rossonero Bet, si accascia poco per volta a terra tenendosi con la mano la coscia destra.
Al Sant’Elia non si sente volare una mosca, compagni e avversari si stringono intorno al numero 11 e c’è addirittura chi piange.
La diagnosi parla di distacco del tendine dell’adduttore. Riva ha già avuto nel 68 e nel 70 due gravissimi infortuni alla gamba ma è sempre tornato più forte di prima. Questa volta però Rombo di Tuono non tornerà, il Cagliari si aggrappa al suo nome, lasciandolo nella lista dei tesserati ancora per un anno ma la carriera di Gigi finisce al 50° minuto di Milan-Cagliari.
Rimane a vivere lì, quella terra senza luce che vide da un aereo e non gli piacque è rimasta casa sua, come testimoniano le sue parole: ”Ero senza famiglia e ne ho trovate tante: quella del pescatore che m’invitava a cena, quella dell’edicolante, del macellaio, del pastore, Mi dispiace di non aver tenuto tutte le loro lettere, ne basterebbero una o due per far capire perché ho amato Cagliari, la Sardegna”.