Giovenale, da Aquinum un poeta sempre attuale

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Il numero di febbraio del nostro mensile cartaceo  esordisce con la nota citazione di Giovenale “orandum est ut sit mens sana in corpore sano” (X, 356), tracciando così le linee guida del tema principale di  questo mese: Corpo e anima, sport e cultura, i due pilastri su cui ricostruire l’immaginario del nostro paese.

La citazione fornisce uno spunto dotto per un breve approfondimento sul retore e poeta latino che ha consegnato le sue satire alla storia e dunque sulla Città Identitaria del Lazio meridionale, che si onora di avergli dato i natali.

Mentre sono pochissime le note biografiche giunte su Giovenale, tante sono le citazioni pervenute. Tutte tratte da un’unica opera, le sue Satire. Unica sua opera pervenuta, dalla fortuna tardiva ma longeva.

Possiamo osare dire che da tutte le pagine di qualsiasi epoca storica da cui si levi una voce di indignazione per i tempi e la corruzione dei costumi troviamo echi delle satire di Giovenale, anche a livello di semplice citazione.  Panem et circences (Sat. X, 81), è opera sua: “Già da un pezzo… il popolo non si preoccupa più di nulla … e due cose soltanto desidera ansiosamente: pane e giochi”; e l’altra del marito geloso “Io vi ascolto vecchi amici; è un pezzo che mi dite- metti un catenaccio! Impediscile di uscire- ma chi mi farà la guardia ai miei custodi?” (Sat. VI, 347-348); o quella secondo cui “La critica è indulgente coi corvi e si accanisce con le colombe” ( Sat. II, 63).

Decimo Giunio Giovenale (in latino: Decimus Iunius Iuvenalis), vissuto tra il I e II secolo d. C, nacque nella colonia romana di Aquinum, situata nel Lazio Meridionale. Quando Aquinum era fiorente, abbracciava i territori attuali di Castrocielo, Roccasecca, Colle San Magno, Piedimonte San Germano, Villa Santa Lucia, Pontecorvo e parte di Esperia, oltreché la moderna Aquino. Tuttavia oggi è il territorio di Castrocielo ad avere il privilegio di custodire e conservare i principali resti della Colonia Romana, situata sulla importante via Latina e definita “grande città” dal geografo Strabone. Tante rimangono le testimonianze del suo splendore che oggi attraggono turisti e studenti.

Fu proprio nel periodo in cui Aquinum  stava raggiungendo il suo massimo splendore che gli studiosi collocano la nascita del nostro poeta (50 d.c.)da una famiglia poco benestante secondo alcuni per cui dovette andare a Roma, diventare “cliens” e pagarsi così gli studi di retorica; ma secondo altri, da una famiglia benestante che poté assicurargli, prima ancora di andare a Roma, tutti gli studi intrapresi.

Le notizie sulla sua vita, poche e incerte, sono ricavabili dai rari cenni autobiografici presenti nelle sue sedici Satire scritte in esametri, da alcuni epigrammi a lui dedicati dall’amico Marziale ed un breve biografia, probabilmente del IV sec. riportata dal codice Pithoeanus. Sembra che venne adottato da un ricco liberto. Intorno ai trent’anni cominciò forse ad esercitare la professione di avvocato, dalla quale però non ebbe i successi sperati e ciò lo convinse a dedicarsi alla scrittura, alla quale arrivò in età matura. Non si sa con certezza la data della sua morte, sicuramente posteriore al 127.

Giovenale ammette fin dall’inizio che quel che lo spinge a scrivere è l’indignazione verso il degrado morale della società in cui si trova a vivere: “Se anche non fosse del mio carattere, è l’indignazione che mi costringe a scrivere versi” (I, 79-80). Scrive dell’età di Persio, quella giulio-claudia (14 d.C. – 68 d.C.), pur vivendo diversi decenni dopo: nella satira 1° afferma infatti provocatoriamente che parlerà dei morti, non perché i vivi siano meno corrotti, ma perché i defunti non sono in grado di vendicarsi. Probabilmente la morte di Domiziano (51-96 d.C.), il cui regno dall’81 al 96 d.C. era stato caratterizzato da corruzione nella corte imperiale e da crudeli modalità di repressione, lo spinse ad uscire allo scoperto, e anche l’amicizia con Marziale, che gli dedicò diversi epigrammi, dovette spronarlo. Era giunto momento di dire la sua: “Semper ego auditor tantum? Dovrò sempre stare solo a sentire?” (Sat. I,1).

Mentre la satira di Orazio era una conversazione costruttiva, arguta, garbata, le prime sette satire di Giovenale, è irosa, livida e moralista, piena di quella rabbia suscitata dalle aspettative insoddisfatte, di quella indignazione a lungo covata per lo stato in cui verte la società della Roma imperiale, corrotta e abietta. Giovenale, che sogna nostalgicamente il ripristino dell’antica moralità del mos maiorum (il costume degli antenati)” colpisce con la propria satira tutti gli strati sociali: dal cittadino romano che s’affanna disperatamente per conquistare beni materiali vani e superficiali al “cliente” che si umilia di fronte all’arrogante padrone, dal parvenu arricchito e volgare alla meschinità del vulgus, dalla moralità precaria dei letterati all’affarismo indiscriminato dei mercanti orientali. Particolarmente dure e senza appello le parole contro le donne, responsabili principali della corruzione dei costumi e del degenerazione della morale.”

Solo negli ultimi anni della sua vita il poeta rinunciò alla violenta indignazione per un atteggiamento più distaccato e indifferente, riavvicinandosi con  le satire VIII-XVI alla tradizione satirica. Le riflessioni diventano più pacate, il sarcasmo diventa più distaccato, meno violento e più costruttivo. Questo lo stile che troviamo anche nella Satira X, famosa per la citazione “orandum est ut sit mens sana in corpore sano”.  In cui tuona contro coloro che pregano per ottenere ricchezza, potere, onori, bellezza, senza accorgersi che questi sono solo dei falsi beni, che portano rovina più che felicità. Bisogna trovare soddisfazione nelle piccole cose quotidiane sostiene Giovenale e piuttosto pregare gli dei affinché essi concedano una mens sana (uno spirito equilibrato) in corpore sano.


Le satire di Giovenale, ultima espressione del genere definito da Quintiliano come romano per eccellenza (“satura tota nostra est”, Quint. Inst. orat., X, 1, 93), per la loro spiccata espressività, hanno avuto molta fortuna presso i posteri. Gli scrittori cristiani apprezzavano la sua forte carica moralistica, e la critica alla Roma pagana. In generale, dal Medioevo in poi, tutti gli scrittori di satire vi si ispirano. Da Dante Alighieri, che lo pone nel Limbo delle anime illustri Purg. XXII, 13-15), a Francesco Petrarca (1304-1374) e poi Ludovico Ariosto (1474-1533), Giuseppe Parini (1729-1799), Vittorio Alfieri (1749-1803), i francesi Victor Hugo (1802-1885) e Voltaire (1694-1778) nel suo Candide, tutti si sono ispirati a Giovenale. 

La verve di Giovenale, per temi e stile risulta, a distanza di quasi 2000 anni, sempre attuale.

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