Gli artisti dovrebbero essere rivoluzionari, non omologati al pensiero unico

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Articolo pubblicato nul numero di settembre 2022 di CulturaIdentità

Il partito dello spettacolo è schierato in tutto il mondo con un unico manuale Cencelli su come comportarsi, che film girare, che padrini scegliere, che discorsi fare alle premiazioni, a chi dedicarle, che denunce sdegnate pronunciare, quali appelli promuovere e firmare, e via con il credo progressista.

Il quale credo va avanti immutato dal dopoguerra in una pratica di occupazione pacifica ma non per questo meno bellicosa di tutti gli spazi di spettacolo, cultura e informazione, da parte della sinistra resistente e neorealista. Naturalmente complice un pensiero liberale di grande fiacca e inerzia, anxious to please.

Il conformismo di sinistra ha permeato sempre il mondo dello spettacolo di qua e di là dell’oceano, e sbaglierebbe chi credesse che vada meglio nel Nuovo Mondo, perché Hollywood è un vero e proprio ghetto da questo punto di vista e chi è fuori da quella logica se ne sta fuori. Meglio, che sia Cinecittà o Hollywood, Cannes o Venezia, l’Orso d’oro o il vecchio Oscar, chi la pensa diversamente tace e si guarda bene dal farlo capire. Un esempio diverso c’è , è quello di Clint Eastwood, ma di Eastwood ce n’è uno e da decenni paga l’ostilità di Hollywood.

Il conformismo di sinistra ha spinto non solo attori, registi, mondo della musica, a schierarsi politicamente pro e contro certi leader. Ultimo esempio in Italia la levata di scudi contro Giorgia Meloni e Matteo Salvini, ma come dimenticare l’odio hollywoodiano verso Donald Trump!

L’evoluzione malefica dell’attivismo di sinistra ha coinvolto il mondo dello spettacolo anche negli episodi più estremi di cancel culture, gender fluid, utero in affitto, difesa senza confini dell’aborto e ha preso una pesante deriva di ingerenza nella politica. Si può dire che numerosi attori e artisti, tra un film e l’altro finanziato in Italia dal Ministero della Cultura, tra uno spettacolo e l’altro, facciano gli agit prop.

Così una cantante stagionata come Loredana Bertè insorge e pretende da Giorgia Meloni la cancellazione della fiamma dal simbolo inveendo contro di lei e investendosi del ruolo di vendicatrice della senatrice a vita, Liliana Segre, che presumibilmente non glielo ha chiesto; una cantante di recente acquisizione come Elodie si scaglia contro la cattiveria e l’odio del Fascismo in uno sproloquio destinato ad attirare l’attenzione.

Ma lo stile del Partito dello Spettacolo trova la sua applicazione più autentica in

Kasia Smutniak, attrice alla moda, di quelle delle quali il compianto Marco Ferreri avrebbe detto “ ha una sola espressione“. Sul suo profilo Instagram si legge una invettiva dedicata a Giorgia Meloni che in un discorso aveva rivendicato il ruolo della famiglia tradizionale, quella con un padre e una madre: “Più i pensieri sono bassi, volgari, inadeguati, non all’altezza, tristi, morbosi, infelici, privi di eleganza, di amore, di buon senso, indegni, ingiusti, aspri, acidi, vomitevoli, piccoli, inutili, stupidi, idioti, pericolosi, malformati, kitch, sbiaditi, inesatti, errati, carichi di odio, disumani, più la persona che li esprime diventa volgare, inadeguata, non all’altezza, triste, morbosa, infelice, priva di eleganza, di amore, di buon senso, indegna, ingiusta, aspra, acida, vomitevole, piccola, inutile, stupida, idiota, kitch, sbiadita, inesatta, errata, carica di odio, disumana”. Meglio non fargliela recitare. Critiche, polemiche? Assolutamente no, siamo nel tempio del doppiopesismo.

Per esempio se l’è vista brutta il direttore di Chi, Alfonso Signorini, quando nel corso di una trasmissione televisiva ha osato criticare l’aborto . Una giornalista gli ha intimato di non parlare del “corpo delle donne”. La polemica è andata avanti per settimane. Invece il gruppo rock emergente dei Maneskin è stato ricoperto di complimenti e applausi quando, parlando di diritti degli omosessuali, ha dichiarato: «Quest’anno l’Italia ha vinto in tutto tranne che nei diritti civili». E’ che la vulgata mainstream tende a dipingere la nostra nazione come un Paese arretrato, in cui gli omosessuali vengono perseguitati dai loro concittadini. Ora, nessuno intende negare che ci possano essere episodi di discriminazione. Ma niente è più conformista di questo racconto piatto. Gli artisti dovrebbero scegliersi battaglie davvero impopolari tendere a essere trasgressivi, non preda della narrazione dominante.

Dovrebbero battersi contro l’omologazione culturale del politically correct, favorire il pluralismo delle idee, invece con poche e faticose eccezioni si allineano tutti in cause facili.

A Hollywood ormai per girare un film che speri di uscire nelle sale e poi di essere candidato agli Oscar, bisogna seguire rigide regole raccolte in un codice etico presentato qualche tempo fa alla stampa. In questo codice si spiega che storie e protagonisti devono rappresentare tutte le minoranze etniche. Vale per il futuro e vale anche per il passato in una rincorsa grottesca all’antirazzismo Qualche esempio. La HBO ha ritirato dal suo catalogo perché contiene incitazioni razziste e pregiudizi razziali Via col vento. Che è un film del 1939, in Italia è arrivato nel 1951 e entrato nella storia del cinema mondiale..

Vi ricordate più di recente la meravigliosa storia d’amore tra Meredith e Derek nella fiction/medical Grey’s Anatomy, che da 20 anni imperversa nel mondo? Vi ricordate che appena i due si sono conosciuti ogni occasione era buona per un sano accoppiamento passionale? Tutto cambiato. Infatti in un’intervista al Los Angeles Times, Krista Vernoff, sceneggiatrice della serie, ha dichiarato:

«Prendiamo la relazione tra Meredith (Ellen Pompeo) e Derek (Patrick Dempsey), al fatto che Meredith era una tirocinante e lui il suo capo, che lei continuava a rifiutarlo e lui continuava a insistere. Se la guardiamo alla luce di movimenti come #MeToo o Time’s Up, capiamo subito perché oggi non la racconteremmo mai, o almeno non così. I tempi sono molto cambiati». Il cinema molto peggiorato.

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1 commento

  1. Quello ch’è successo a Torino è annichilente, per un Paese che si professa democratico. Però, silenzio a sinistra. Silenzio dal Quirinale. Salvo, poi, arrivare ieri da quel Palazzo, a difesa della Costituzione, di cui era stata fatta carta straccia, appunto, ‘Al salone del libro’, il monito di Mattarella che “Sbarra la strada a nefaste idee di supremazia della razza”. A dare sostanza alla bilancia sbilenca. Perché, se quello che la sinistra tutta professa, e che si suoi menestrelli cantano a tutte le ore del giorno e della notte, inneggiante sempre la stampa solidale, che cos’è se non supremazia di pensiero e, quindi, di razza? Ma come si fa a cadere in una contraddizione in termini così palese?

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