Belpietro: «la cancel culture vuole spazzare via l’occidente»

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La ricetta del direttore de “La Verità” e “Panorama” per salvarci: rompere i lacci del politicamente corretto

Quelli che parlano bene ora la chiamano “woke” anche se non sanno di preciso cosa sia. Ha provato a spiegarlo Bret Stephens che sul New York Times – la gazzetta ufficiale dei democratici americani che ha solo caratteri politically correct – ha preconizzato perché “l’ideologia woke fallirà” meritandosi non pochi fischi intellettuali. Giova perciò chiedersi se il mix del politicamente corretto con la cancel culture abbia già prodotto sufficienti danni e una conseguente crisi di rigetto. O se invece lo sbianchettamento della storia, l’abbattimento delle statue saranno il nuovo paradigma (a)culturale e l* schwa sarà l’alfabeto delle prossime tesi di laurea. L’ultimo woke effect è la petizione per sostituire i colbacchi delle guardie reali britanniche fatti di pelle d’orso canadese con la pelliccia sintetica. Carlo III ambientalista dal cinismo british ci sta pensando. E Maurizio Belpietro lo farebbe? Con lui che è editore e direttore de La Verità, il quotidiano meno politicamente corretto, e di Panorama il settimanale più puntigliosamente schierato sulla barricata dei fatti, ragioniamo del “1984” che ci aspetta.

Direttore che pensi della cancel culture?

Penso che sia un modo per imporre un sistema e fare posto solo alle idee di sinistra. In Italia e nel resto del mondo non si può cancellare la storia bella o brutta che sia. In una parola penso la cancel culture sia una enorme scemenza.

Maurizio, ne abbiamo già discusso altre volte, ma non pensi che comunque la cancel culture sia funzionale a condizionare il pensiero ad affermare una nuova ortodossia?

Sì e mi tocca di dire che queste campagne hanno avuto purtroppo successo perché si sono sovrapposte al politicamente corretto. Ci sono cose che oggi non puoi più dire perché appunto devi essere politicamente, ma il mondo, la storia sono scorretti. Sono accadute cose che oggi ritieni inaccettabili: i coloni americani hanno massacrato gli indiani poi li hanno rinchiusi nelle riserve, i romani per costruire l’impero hanno spazzato via intere popolazioni e in altre parti del mondo è accaduto qualcosa di altrettanto cruento, ma non puoi non tenere conto di quando tutto ciò è accaduto.

C’è una volontà di distruzione dell’Occidente che sorregge la cancel culture? Magari chi ha interesse ad abbattere la nostra economia, la nostra civiltà per sostituirla la usa come arma psicologica…

Sono abbastanza d’accordo. La cancel culture trova una grande apertura, una accondiscendente disponibilità proprio nell’Occidente che coltiva un suo senso di colpa. Si sente responsabile di qualsiasi nefandezza sia stata commessa nel corso dei millenni eppure il modello occidentale ha consentito a tutto il mondo di progredire. Il colonialismo certo ha avuto dei torti, ma ha lasciato comunque progresso. Concetti come il rispetto delle persone, delle idee nasce in Occidente, non altrove, la società democratica nasce in Occidente. Se si va a vedere bene nella maggior parte dei paesi usano ancora le divisioni in caste, i diritti non sono rispettati. Per paradosso la cancel culture vuole spazzare via le ragioni storiche che hanno consentito all’Occidente di far progredire il mondo.

Nel senso di colpa rientrano anche esternazioni come quelle di Paola Cortellesi di Biancaneve colf dei sette nani?

Lì siamo al ridicolo. Quando si arriva a dire che Biancaneve è la colf dei sette nani non c’è più limite. Vorrei sapere allo Cappuccetto Rosso cos’era? Cancelleremo la fiaba perché viene ammazzato il lupo? Con queste ridicolaggini arriveremo a riscrivere i capolavori della letteratura, le opere d’arte non considerando che sono state concepite dentro contesti culturali che si sono evoluti, che sono manifestazioni d’ingegno figlie del loro tempo. Per questa via arriviamo alla dissoluzione della nostra cultura, arriveremo ad affermare che il nostro patrimonio di civiltà è frutto di nefandezze.

Esiste un antidoto?

L’antidoto principale è l’anti-conformismo. Rompere quella cintura fatta di regole che ci impediscono di guardare in faccia la realtà.

Operazione di rottura che La Verità e Panorama fanno ogni volta che vanno in edicola viene da dire. C’è un esempio di questi giorni di cancel culture che ti ha colpito?

È un caso di riscrittura della storia. Acca Larenzia: tre ragazzi di destra ammazzati dai terroristi rossi. Una strage su cui da 46 anni non si cerca la verità. Ogni anno duecento, mille persone vanno lì e fanno il saluto romano. È un gesto di ricostituzione del partito fascista? No, assolutamente no. In tutto il mondo begli Usa come in Germania come in Giappone ci sono persone che coltivano un passato nostalgico. Per Acca Larenzia si evoca il ventennio, non si possono fare operazioni e paragoni banali perché ora c’è la Meloni siccome qualcuno di quelli arrivati a commemorare la strage di sinistra fa il saluto fasciata allora è tornato il pericolo fascista. L’altro giorno in televisione ho portato una foto del gennaio 2018, sempre Acca Larenzia, sempre migliaia di persone, ad occhio il triplo di quelli che c’erano quest’anno, sempre un gruppo di nostalgici che fa il saluto romano. Solo che allora non se n’è accorto nessuno, come nessuno si è ricordato di quei tre ragazzi di destra ammazzati. E perché non si è fatto rumore? Perché capo del governo era Paolo Gentiloni del Pd. La strumentalizzazione, l’utilizzo della storia con le lenti del passato sono operazioni che non ci portano da nessuna parte. Il fascismo fa parte della nostra storia: lo dobbiamo studiare e analizzare. Ma se il metro è la demonizzazione anziché studiare la colonizzazione dell’Africa dovremmo cancellarla. Ma se non la studiamo non riusciamo a capire che certo aveva mille difetti ma che è servita anche a far crescere l’Africa. La cancel culture agisce sulla demonizzazione.

Beh Orwell lo ha scritto nel ’49 nel suo profetico 1984: i tiranni hanno bisogno di riscrivere la Storia, giusto?

I tiranni hanno bisogno di riscrivere la storia e la cancel culture è una tirannia usata per espungere il buon senso dalla vita, ma anche come arma di distrazione di massa. Io vado sempre al nocciolo delle questioni: del declino del nostro sistema industriale e del nostro modello di sviluppo non si discute, anche quella è cancel culture; cancellare l’industria in nome del dio pagano dell’ambientalismo e dell’ecologia. C’è un’aristocrazia culturale che può permettersi di demonizzare tutto senza badare a costi ed effetti sociali; può attaccare l’auto, le case, le fabbriche perché ha i soldi in tasca, ma gli altri restano vittime di questa cancellazione del nostro modo di vivere e prosperare.

Ultima riflessione, ma il fato che il governo Meloni difenda la tradizione, l’italianità c’entra con il rigurgito da noi della cancel culture?

C’entra? Ma certo e la sinistra lo confessa candidamente. Discutevo a Rete 4 nella trasmissione di Bianca Berlinguer con Concita De Gregorio di Repubblica e già direttrice de l’Unità e le ho chiesto: «ma scusa tu alla manifestazione di Acca Larenzia hai sempre assistito e non ho mai letto di un tuo allarme fascismo». E lei mi ha risposto: «ma ora al governo c’è la Meloni». C’è una strumentalità del dibattito perché fuori dal circuito giornali / talk show di Acca Larenzia non interessa a nessuno, ma serve a far credere che esista il pericolo fascista, anti-democratico. A questo serve la cancel culture.

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