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Il figlio di Salvador Dalì e Gala tra gli ingombranti ricordi d’infanzia del genio surrealista
119 anni fa nasceva oggi Salvador Dalì, l’inventore del Surrealismo, l’attrattore di arte e inconscio, la star dell’art business, l’amante di Amanda Lear, l’anarchico che ha fatto arrabbiare i comunisti francesi magnificando la monarchia, lo chef creatore di piatti pittorici e surreali(sti) molto prima dei master chef della tv, il viveur con la Rolls Royce gialla: questo e molto altro è stato Salvador Dalì, pittore, scultore, scrittore, fotografo, cineasta, designer, sceneggiatore e mistico pop. Per celebrare questo grandissimo artista pubblichiamo l’intervista, pubblicata sul numero di febbraio 2022 del mensile CulturaIdentità, a José Van Roy Dalì, pittore, scultore, orafo, scrittore, attore cinematografico e…….figlio di un mito. (Redazione)
«Io continuerò a dipingere con successo, a vivere con dignità, a rappresentare me stesso, la mia famiglia, la mia arte superlativa e a chiamarmi Dalí con la consapevolezza che detta distrazione contribuirà alla mia immortalità poiché solo chi “non esiste” non potrà mai morire». José Van Roy Dalì lo dichiara al pari di un manifesto poetico, il suo legame con un padre-non padre, amico-nemico ma in fondo “completamento totale di se stesso”.
Il figlio del venditore di sogni (2010) è la sua ennesima autobiografia, dove ripercorre aneddoti familiari, la scomodità di un cognome ingombrante, la fatica di dover dimostrare di essere all’altezza di un maestro e artista immortale del 900. Nato a Perpignan, nella Catalogna del 1940, è figlio di Salvador Dalì Domenech, maestro surrealista e della modella russa Elena Deluvina Diakonov (detta Gala). José ha vissuto la sua adolescenza con una coppia di tutori. I suoi veri genitori, continuamente impegnati in viaggi per il mondo a causa della loro attività, decisero di affidarlo ad una famiglia italiana che lo allevò come un figlio. Salvador e Gala per molto tempo non poterono regolarizzare la loro unione, così racconta nelle sue memorie José: “Da piccolo passavo solo le vacanze estive a Cadaques, dai Dalì e in inverno ero affidato alla famiglia Rossi”. Ma tale divenne il legame affettivo con il bambino che i tutori fecero sapere che Josè era deceduto. Solo molti anni dopo poté rivederli.
In Dalì sempre Dalì del 1986 scrive: “Il desiderio di sconfiggere l’uomo – che invece avrei dovuto amare come padre – prendeva vita in me, e per non porre limite agli insani propositi del mio disegno, avrei ulteriormente osato, copiando il suo stile e la sua tecnica raffinatissima…”
Josè è un dichiarato surrealista. Pittore, scultore, orafo, scrittore e persino attore cinematografico, ma solo per il grande amore che mostra verso l’arte. Esercizi di stile e di curiosità, più che una produzione vera e propria. Un’attività vivace e appassionata, aperta a nuovi giochi che tenta di indagare strade inesplorate. Il suo eclettismo e la sua creatività sono lampanti così come i baffetti che mostra con orgoglio ed emulazione, rigorosamente “volti verso il cielo come le torri della cattedrale di Burgos”, così come amava ostentarli suo padre Salvador.
“Potere agli artisti!”: questa è la scommessa lanciata in questo numero da CulturaIdentità. Non a caso, il Futurismo attribuiva acuite capacità percettive agli artisti del XX secolo, il potere divinatorio di vedere. E’ stato un movimento determinante, fondato su delle solide basi. Artisti che imbastivano un rapporto virtuoso di scambio ed influenza reciproca. In effetti, la svolta in direzione surrealista inaugurò la stagione del Terzo Futurismo.
Abbiamo bisogno, a suo avviso, di ricostruire un reale consenso popolare intorno al valore dell’arte? Di avere nuovamente “visioni e visionari”?
Cerco di essere realista e di analizzare la crisi in cui versa il mondo dell’arte in questo momento storico. Non mi sono mai definito tale, sono semplicemente un uomo di questi tempi che si diverte nel suo lavoro. A mio avviso, salvo qualche rara eccezione, attualmente non esistono maestri degni di nota. Io colloco la grande arte nel Rinascimento. Resta, quindi, uno sguardo rivolto con nostalgia al passato. Il mondo è talmente distratto da persone senza alcun particolare talento. Personaggi che si mettono in mostra con qualsiasi espediente e che tentano di sostituirsi agli artisti. Oggi, colpisce più la stranezza che le reali capacità individuali.
E lei come vive questa condizione?
Io mi sono ritirato in campagna, volutamente fuori da queste dinamiche. La mia casa è una sorta di museo, un po’ come quella che realizzarono i miei genitori. Chi viene a trovarmi trova delle evidenti somiglianze. Continuo a realizzare la mia arte ma senza troppi clamori. Produco per il personale piacere di creare, intenzionalmente da più di vent’anni e non vendo le mie opere.
Nel suo percorso ha sperimentato più di un linguaggio artistico
Nasco come surrealista e figurativo. Ho cercato di comprendere l’astratto e l’informale esprimendomi con quel linguaggio. E’ il puro divertimento che scaturisce dalla sperimentazione che mi ha spinto ad esplorare nuove strade.
La vita dei suoi genitori è stata un puro gesto d’arte. Quanto è pesato questo nella sua formazione?
Mio padre era un’opera d’arte vivente. Non aveva solo me, ma migliaia di figli. I suoi ammiratori e gli artisti che si sono ispirati alla sua pittura. Ha influenzato più di una generazione, è stato un innovatore. Mia madre Gala era la sua musa, l’anima di mio padre. Insieme, erano un essere unico diviso in due. Tutta la loro vita era basata sulla visibilità estetica e sulla ricerca della bellezza assoluta. Da bambino non avevo la consapevolezza della grandezza artistica di mio padre. Ho capito chi fosse realmente solo quando mi avvicinai alla pittura. Non ho mai osato confrontarmi con la sua figura. Sarebbe stata una scommessa persa in partenza. Tutto è nato come un gioco, un’emulazione affettuosa così da ricreare una sorta di legame con lui.
Che ricordi ha della sua infanzia?
Lui amava scherzare e mi faceva continue burle. Una volta si finse morto. Così cercai di sfilargli l’orologio, a cui teneva molto, per vedere se fingesse. All’improvviso sbarrò gli occhi e capii che era uno dei suoi scherzi. Entrava nella mia stanza, mentre dormivo, mi svegliava all’improvviso con una candela accesa sotto il volto. Diceva di essere il diavolo, ma le corna erano i suoi baffi.
A quale tra le sue celebri opere si sente particolarmente legato?
Il Cristo del San Giovanni della Croce, ne ho una riproduzione in casa realizzata da me. Ma poi ci sono tantissimi altri suoi capolavori, tutti indimenticabili, non saprei scegliere.
Su cosa sta lavorando adesso?
Sto scrivendo un nuovo libro, “Il manager di Dio: racconto il mondo dell’arte e degli artisti pressoché sconosciuti che tentano di emergere in questo ambiente.
Qual è la corrente artistica contemporanea che le sembra più interessante?
Noto una confusione lasciata volutamente in atto, da commercianti che con l’arte hanno davvero poco a che fare. Mi sono avvicinato per questo all’Effettismo. In ogni caso, resto ancorato al surrealismo classico ma, con altri artisti, tentiamo di ritrovare la strada tradizionale della pittura.