La cultura si possiede o si consuma?

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Foto di Nino Carè da Pixabay

Il caos rappresentato dall’informazione dei nostri giorni sembra farsi metafora di quel disordine che abita ormai sempre più menti, in un’ era in cui si pensa di avere tutto sotto controllo, e a portata di un clic, ma forse proprio così non è.

L’uomo è stato negli ultimi secoli sovraccaricato di numerosi stimoli, tecnologici soprattutto, che per molti versi hanno portato ad un sviluppo e ad una crescita apprezzabile e necessaria all’evoluzione, che è insita nella progressione del tempo.

Tuttavia non sempre questa evoluzione risulta essere positiva, anzi può diventare dannosa quando se ne abusa, cioè quando si rende lecito, sotto le spoglie del progresso, addirittura una sovversione naturale dell’ordine e del tempo che le cose, esattamente come l’essere umano, richiedono per crescere.

Aspettare, rispettare, ascoltare la natura e la disposizione che essa suggerisce.

Non è un caso che la parola cultura derivi dal latino colere, che significa coltivare. Immediatamente il rimando è all’area semantica della coltivazione della terra, eppure lo stretto legame venutosi a creare con l’accezione italiana a noi nota di cultura, cela un importante legame tra le due interpretazioni. Il termine ha infatti acquisito il significato di cura, coltivazione di un sapere e di educazione. Questo perché, per trarre frutto da un campo, occorre aspettare il tempo necessario perché questo sia pronto. Così come la cultura, che ha bisogno di tempo e riguardo per formarsi, affermarsi ed educare ad un sapere.

Oggi siamo sempre più sottoposti a sensibilizzazioni in merito al clima e all’ambiente, tanti giovani manifestano e si battono per l’ecologia, demonizzando qualsiasi tipo di bottiglietta di plastica per salvaguardare l’ambiente, ma è davvero questo prendersene cura, o è più una voglia di scendere in piazza urlando degli slogan?

Uno dei rischi maggiori della nostra società è purtroppo la grande strumentalizzazione che spesso e volentieri viene fatta della cultura e dell’informazione, in un Occidente in cui è sempre l’Io a prevalere, anziché un bene comune.

Sicuramente per una società migliore si deve partire inevitabilmente dall’elevazione mentale, e aggiungerei anche, spirituale del singolo. Ma se questo è sempre più vittima, spesso anche inconsapevole, di un liberalismo che anziché darci la vera libertà, sembra piuttosto appiattire la crescita personale, come può esserci una evolutio all’interno di una comunità?

Se va tutto bene, tutto è concesso, tutto è giusto basta che “faccia stare bene”, e soprattutto se vengono meno i due Soli del De Monarchia dantesco, ovvero quelle guide, quei punti di riferimento necessari all’uomo per non perdere di vista la strada (e no, non parlo del navigatore sullo smartphone) come può esserci una progressione e un vero amore per ciò che la natura e la cultura offrono?

L’era del consumismo ha reso la cultura un “bene” assai richiesto, ma sempre meno posseduto. Si consumano opere d’arte, libri, musei, informazioni, cinema, musica, ma non si possiede nulla che dia veramente un ordine ad anime sempre più confuse, fintamente liberali e irrispettose verso la bellezza.

La cultura è passata da essere elitaria ad essere proletaria, e questo passaggio da un estremo negativo all’altro ha aperto le porte ad un caos dilagante.

Le menti per essere pronte ad accogliere con cura qualcosa, devono essere predisposte. Non può essere la quantità a dare preparazione, ma la qualità degli strumenti forniti per accoglierla. Come dice Zygmunt Bauman: “nella modernità liquida la cultura non ha un “volgo” da illuminare ed elevare, ha, invece, clienti da sedurre”. Per sedurre basta allora la superficie, il fascino insaziate della “novità”, che un momento piace e poco dopo ha già stufato.

Quel cuore nobile e gentile tanto cantato dai poeti stilnovisti del Trecento, secondo cui solo chi aveva sensibilità poteva conoscere l’amore, insegna ancora oggi che solo chi ha un animo educato alla bellezza può essere pronto ad accettare la novità e l’evoluzione facendola fruttare.

In questo momento storico specialmente, l’unica possibile soluzione è quella di mantenere un forte senso critico, così tanto millantato quanto sempre più inesistente.

Non farsi travolgere dai bombardamenti mediatici, divenuti un’arma a volte anche letale per delle menti così esposte ad un’informazione caotica, disordinata, e che attecchisce su terreni impreparati e non debitamente curati.

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